mercoledì 22 febbraio 2017

Quel Giorno [24 settembre 2003]

Sono passati, da circa una settimana, il 15 febbraio 2017, i 68 anni dalla nascita di Jack Pallini. Sessantotto non è "cifra tonda" e quindi se non se ne ricorda il passaggio,  cambia il giusto. In realtà gli anniversari hanno sempre poco valore, servono ad esercitare la memoria e poco più. 

E la memoria noi dobbiamo esercitarla, non tanto per il ricordo delle persone sicuramente importanti nella nostra vita, quanto per gli insegnamenti che ci hanno lasciato e che ci hanno arricchito. Ogni volta che qualcuno che conosciamo scompare, parte per la sua parte di viaggio, a noi non resta che un pezzetto da prendere e mettere nel nostro zaino, da portare con noi per sempre.

Avrei voluto condividere, ancora quanto segue nel giorno del compleanno di Jack. come lo chiamano? Il giorno del Richiamo, anche se non mi ricordo mai se è il giorno della morte o della nascita. Tuttavia la scorsa è stata una settimana di fuoco, lavoro e viaggi; paleontologia e matematica; lezioni di vita e lezioni all'università. 

Ma non disperiamo, condivido adesso. La poesia che segue l'ho scritta in occasione del decennale della scomparsa di Jack e l'ho cogitata, con forte emozione proprio dove effettivamente mi ha sorriso quel giorno, lì a Campo al Bello, sul Monte Nerone, prima che tutto succedesse e tutto cambiasse.


Lui che diceva sempre:

"Veniamo con un pianto, 
vediamo di andarcene con un sorriso"

quel giorno, lì in montagna,
mi ha sorriso
e se ne è andato...

... se ne è andato!

Jack, il 24 settembre 2003

giovedì 16 febbraio 2017

Elogio alla Geologia

Tutte le sere, mi lavo e mi cambio, lascio i panni di tutti i giorni e mi incammino sulla via Appia. La via Regina, la consolare romana che dritta e rettilinea da Roma raggiunge Brindisi.

Ovviamente non fisicamente ma tramite l'abile penna di Paolo Rumiz il quale, indossato il suo zaino, insieme ad una squadra solidale, ha percorso a piedi tutti i 690 km di questa via.

E' un libro di cui sentirò la mancanza una volta finito e che mi ha dato l'idea per numerosi progetti...

Ad un certo punto, durante la lettura, mi sono imbattuto in un capitoletto niente male, per me che sono geologo, e che vorrei riportare per intiero per chi vorrà leggerlo. 

Certo a chi leggerà e difensore ortodosso della geologicità troverà orrori di interpretazione vorrei ricordare che chi scrive nel virgolettato non è geologo ed interpreta... ed in ogni caso... ma che problema c'è?

Il capitoletto si chiama Radiatori in Agonia.

"A Venosa finisce l'Appennino. Dopo, è solo il vento che detta la Storia. Superato un profondo vallone con un verde querceto e un torrente, si entra in uno spazio rovente, di radiatori in agonia; un tavolato ondulato e nudo, sui trecento metri di quota, dove le poche auto in transito si annunciano a chilometri di distanza come sull'altopiano del Messico o nel cuore polveroso dell'Iran. Questo semplifica enormemente l'orientamento. Ma il Caldo è tale che la temperatura in piena estate può raggiungere i quarantacinque gradi. Terra disabitata, con punti d'appoggio quasi inesistenti per chi va a piedi. Il che significa una traversata lunga, desertica e soprattutto inaffrontabile a borracce vuote.

Assieme all'orografia, anche la mappa geologica si semplifica con l'ingresso nel nuovo mondo. A ovest del cono vulcanico del Vulture, fondamentale paracarro del viaggio, la carta mostra un guazzabuglio di colori forti che denunciano l'effervescenza plutonica della spina dorsale della Penisola. Ad est, dopo un ultimo soprassalto cromatico - la chiazza ciclamino dei "complessi silicei" e le bande diagonali grigio-arancioni del "Flysch numidico della Lucania", ultimi residui dell'erosione dell'Appennino -, sulla mappa i colori impallidiscono di colpo ed inizia uno spazio di sedimenti molto meno antichi, resi graficamente da un giallo pallido di tonalità lievemente verdina, cui segue verso l'Adriatico la vasta macchia grigio topo delle Murge, il regno del calcare.

Significa che da qualche parte, sotto i sedimenti calpestati dalle nostre suole, l'osso dello stivale - in un'impressionante rotazione antioraria - è andato a sbattere contro il piastrone calcareo del Tavoliere. Come dire che l'improvvisa semplificazione cromatica della mappa ci mette di fronte nientemeno che alla deriva e alla collisione dei Continenti. Per farla breve: stiamo transitando dall'Eurasia all'Africa. La seconda ha sfondato la sua antagonista facendo breccia tra i Balcani e l'Appennino e preme a nord-ovest da tempo immemorabile. E' un ariete che migra con tutta la Puglia e l'intero Adriatico fin dentro la pianura Padana e che, a furia di spinte millimetriche ma inesorabili, ha finito per generare le Alpi. Non so bene in che punto, ma la via Regina passa sopra la linea di contatto fra queste zolle migranti.

Ma se il grigio delle Murge è Africa, le Murge rappresentano l'emersione in superficie delle sue fondamenta. Sono africa che esce dal mare come schiena di testuggine. Basamento calcareo, nudo come mamma l'ha fatto. Il resto del piastrone è coperto dal giallo verdino dei sedimenti su cui si snoda, con pochissime asperità, il nostro cammino. Gli unici veri ostacoli li trovi nei punti di contatto tra il giallo pallido e il grigio: sono i canyon - chiamati gravine - scavati dai torrenti in posti come Matera, Altamura, Castellaneta e, ovviamente, Gravina di Puglia, nei quali ha trovato casa una delle civiltà rupestri più complesse ed affascinanti del Mediterraneo.

Sulla mappa, la forza simbolica dei colori è tale che la percezione di camminare su di un fondale marino emerso è folgorante, immediata. Il giallo verdino rende perfettamente l'idea di una massa liquida che riempie tutti gli spazi liberi tra le ruvide convessità delle Murge e il femore inquieto dello Stivale; un mare di sedimenti solidificati che, su un piano dolcemente inclinato, dilaga verso il Metaponto e lo Jonio portandosi dietro secoli di tratturi, strade, fiumi, sentieri e milioni di pecore. Come la gigantesca faglia tra il Lago di Galilea e il Mar morto è percorsa dal Giordano, così anche questo reame scorticato dal vento ha per baricentro un fiume: il Bradano, che ha dato al territorio l'affascinante nome barbarico di Fossa Bradanica.

I piedi, ormai l'abbiamo imparato, sono sismografi capaci di succhiare dal suolo infinite informazioni. Forse è per questo che il camminatore sente il fascino delle mappe che raffigurano il Profondo. Carte geologiche, geodinamiche, batimetriche, litostratigrafiche, sismiche e di intensitàà magnetica: fa poca differenza. Senza paura di far inorridire gli studiosi, egli mostra di amare quelle planimetriche più per la loro bellezza cromatica che per i dati che contengono-. Ne succhia l'essenza dai colori, perché sa che quei colori sono il risultato di una sapienza di secoli. Lo scarlatto, il viola ciclamino, il verde oliva punteggiato di croci, il turchino, l'azzurro a linee diagonali nere, il giallo oro.

Nelle mappe geologiche, le didasclaie che danno senso a queste tonalità sono spesso più efficaci di un libro di avventura. Da quali abissi sono emersi i tremendi scisti silicei di Lagonegro? Come resistere al roccioso richiamo del Flysch di Oberhalbstein, allo scintillio delle rocce cristalline del Silvretta o al tuono iperuranico del nostro favoloso Complesso crotonide? Quale scarmigliata Persefone può celarsi nelle Calcareniti glauconitiche o nelle micascisti d'Aspromonte? No, nessun romanzo può rivaleggiare con la storia favolosa dei sedimenti pelagici sannitico-molisani o delle rocce plutoniche dell'ercinico. Sento che nella fornace bradanica il suolo attorno a noi si deforma, erutta, ribolle, fuma, si gonfia e si frattura, genera visioni e fate morgane. E che l'Italia è una terra senza pace."

da Appia di Paolo Rumiz di Narrativa Feltrinelli