lunedì 24 ottobre 2016

Giornata con Kailas - parte I - Civita Di Bagnoregio

Domenica 23 Ottobre 2016 si è svolta una delle "Giornate con Kailas", quella a Civita Di Bagnoregio.

Civita di Bagnoregio è un borgo medievale, ormai frazione del comune di Bagnoregio in provincia di Viterbo. Ricade nell'area della Teverina, che è la porzione di Tuscia viterbese al confine con l'Umbria e la Toscana.

Civita è il paese costruito su di una rupe tufacea (Ignimbrite di Bagnoregio-Orvieto) che è rimasto isolato dal resto degli abitati a causa dell'erosione che modificandone i versanti ha eliso parte del territorio e il paese è raggiungibile solo da un ponte pedonale.

Civita di Bagnoregio


Diceva "piove" ed effettivamente il tempo è un po' uggioso, umido e ogni tanto qualche gioccia si faceva sentire, ma nulla di eclatante... insomma si poteva andare...

Ero un po' agitato per alcuni motivi. 

Era un po' che non andavo a Civita di Bagnoregio e avendo contribuito alla gestione del locale Museo Geologico e delle Frane, l'emozione era forte. Nei tre anni in cui ho vissuto tra Bagnoregio e Civita ho conosciuto quasi tutti e stretto rapporti di amicizia con molte delle persone con cui passavo le giornate. Quindi tornare in paese mi ha fatto rincontrare quasi tutti ed è stato bellissimo.

Dall'altro lato avendo lavorato per un progetto veramente importante di cui ero propositore e realizzatore, insieme ai colleghi, quello del presidio territoriale per il monitoraggio dei dissesti idrogeologici, era un po' come ricominciare a contribuire al bene collettivo.

Ma in realtà stavo esagerando ed è andato tutto bene. Fatta la visita al museo che vale anche come inquadramento al paese e al paesaggio pian piano ci siamo avviati verso l'escursione.

Siamo passati sotto il "buco sotto Civita", tunnel scavato già dagli Etruschi per permettere agli abitanti di raggiungere i campi coltivati nell'attuale valle dei Calanchi. 

Noi abbiamo intenzione di fare lo stesso e di dirigerci verso i sentieri che percorrevano gli abitanti di Civita fino ad almeno gli anni 50.

Ci inoltriamo nel bosco di castagni. alberi altissimi e in piena salute, nati e cresciuti sui terreni vulcanici ricchi in silice, preziosa per alberi come questi.

E non ti becchiamo la battuta di caccia al cinghiale? oh maremma!!! di domenica vicino ad un luogo turistico e senza neanche i cartelli, o se li hanno messi non ben visibili, tant'è che comunque avevo provato a buttarci un occhio... abbiamo parlamentato come potevamo con i cacciatori e ci siamo fatti mettere in sicurezza il sentiero...

... e che diamine!!!

Percorriamo il sentiero e raggiungiamo la nostra destinazione: I Ponticelli

I ponticelli, al centro della figura le assi orizzontali sul calanco rappresentano la massicciata della strada percorsa dai contadini.

I ponticelli sono quello che resta di una strada che connetteva Civita ai campi coltivati limitrofi. La strada era esposta su ambo i lati e nel tempo si è erosa fino a diventare intransitabile. Della strada restano solo alcune assi poggiate a mo' di massicciata, mentre alcune porzioni del percorso sono ormai irrimediabilmente crollate.

L'erosione e il tempo sono inesorabili e quindi ci siamo riempiti gli occhi delle meraviglie del paesaggio finché è ancora così e siamo ripartiti per la seconda parte della giornata.

Ma fermiamoci un attimo per un ultimo sorso di immagini, giriamoci dall'altro lato e guardiamo in fondo: La Cattedrale.

La Cattedrale. Spicca sul bosco retrostante. Forma erosiva nei calanchi particolarmente interessante e bella.

La Cattedrale: tre guglie altissime di sabbie argillose modellate dal vento e dall'umidità che spiccano nella valle dei calanchi. E' necessario trovare una strada per avvicinarsi, la prossima volta.

Ma ora bisogna rientrare perché la seconda parte della giornata chiama....




lunedì 3 ottobre 2016

Venti anni di Geologia

Accidenti!!!
Essere partiti militare un giorno dopo, mi ha costretto a rimanere in caserma un giorno di più. E non posso seguire la prima lezione del mio nuovo corso di studi.

Già perché quella notte a spalare la neve tra i camion della compagnia trasporti del battaglione Granatieri di Sardegna (e scusa se è poco) in cui ero in forze mi ha fatto capire che il lavoro non è per me... almeno quel tipo di lavoro, tutto braccia e niente cervello.

Si lo so, sono antipatico a volte e decisamente razzista.

E visto che non volevo lavorare, l'unica era tornare a studiare! Lasciata Ingegneria ad Ancona, lontana, costosa e inaffrontabile nuovamente, via a Geologia a sfatare il falso mito che sia più facile di Ingegneria. 

Qualcosa di diverso però c'era, anche a voler essere del tutto ignorante. Se ad ingegneria i documenti di iscrizione li consegnavi allo sportello della segreteria, dopo la lunga fila di tutti gli iscritti per quello che era un sogno che portava lavoro, a geologia entro, mi accolgono le segretarie, mi sorridono, prendono i documenti, controllano che fosse tutto apposto mi danno il numero di matricola (367) scherzando che l'anno era iniziato con il 365... non sapemmo mai chi fosse il 366 e poi mi hanno preparato un caffé.

"Fico Andre', ci portano in montagna" 

è stata la frase decisiva, la disse Paolo e rimase impressa nella mente e nel cuore. Ed è così che ho deciso.

Ma c'era la questione del congedo militare. Fino all'ultimo giorno, il primo di ottobre del 96 dentro la caserma, a fare niente che tanto ero nonno e congedante. Passavo consegne, ma mollemente... un fantasma... in realtà salutavo gli amici e i compagni di 365 giorni fatti tutti d'un fiato ed erano rimaste soltanto poche ore per scambiare i telefoni e promettersi di non perdersi una volta oltrepassata la porta carraia, un altro viaggio di cui parlerò un'altra volta.

E arrivo a lezione, in fondo, insieme ai ragazzi che sedevano dietro, loro vestiti di nero e io di verde e arancione... Mimetica da sbrago regalo del nonno prima di me e riportata a casa.

Geografia Fisica, prof. Caputo, Claudio in prestito dall'Università La Sapienza Roma. Piano piano avrei conosciuto tutti i miei professori, con tutti riuscii a stabilire un rapporto anche di tipo personale, nel rispetto dei ruoli e delle distanze.

Quel giorno, uscendo di casa dissi a mia madre che mi sarei infilato all'università tutto il tempo e che non si aspettasse di vedermi sempre dentro casa a studiare... e così è stato, iniziava il viaggio della mia vita...

Jack ci disse, qualche giorno dopo che probabilmente stavamo scegliendo per la vita.. per me è stato esattamente così... geologo da subito, definitivamente sul terreno...

Il polacco.

Ieri, 20 anni fa (2 Ottobre 1996) iniziava la mia avventura come geologo. 
Venti anni tutti d'un fiato di frustrazioni e di successi, di miti conosciuti e vissuti... una strada lunga subito sul terreno, subito con una carta da colorare, subito senza copie... Tanti i compagni di strada, molti ancora pezzi della mia vita, tutti pezzi del mio cuore... ... ma continua...

venerdì 23 settembre 2016

Perché Er Polacco?

Mi è stato chiesto piu' volte "perché erpolacco?" 

Durante il primo anno di Geologia, il giorno della foto allegata (ph. Adele Garzarella) eravamo sul terreno con il prof di paleontologia Giovanni [Jack] Pallini per una delle sue lezioni in montagna, informali prima del corso. Ad un certo punto un ragazzo porta a far vedere il frammento di roccia che aveva in mano e il prof gli fa: "Aoh e vagliela a ffa' vede' ar polacco laggiu'". 




Noi tutti a chiederci chi fosse questo "polacco", non abituati ai soprannomi di romanesca tradizione. Insomma a richiesta di chiarimenti è uscito fuori che per Jack, il polacco ero io...

Ed ero il polacco perché secondo lui io, che ai tempi vestivo con una "mimetica da sbrago" ereditata dal recente servizio militare, con più capelli e meno barba, biondiccio e con occhialetti tondi, assomigliavo tantissimo ai "polacchi lavatori di vetri" a roma degli anni 70.

Durante gli anni 70, a seguito dell'incoronazione a papa di Carol Wojtyla l'immigrazione dalla Polonia fu molto importante e non era strano incontrare polacchi nelle mansioni piu' svariate, financo lavare i vetri ai semafori.

Fu scritto anche un libro: "Il polacco lavatore di vetri" di Edoardo Albinati - Piccola Biblioteca Oscar mondadori che prima o poi comprero'...





Insomma divenni il polacco e questo divenne il mio nome di battaglia, sono conosciuto come il polacco [e nella sua versione romanesca, erpolacco] in moltissime università italiane e straniere. 


Quando venni eletto rappresentante degli studenti presi piu' voti di tutti e per la maggior parte venni votato come polacco, tant'è che decidemmo in fase di scrutinio che il polacco ero io...

E "il polacco" sono io. Qualcuno storce il naso per come è nato questo nome, ma sia per me che per il prof. [per altro bonanima] non c'era nulla di offensivo. Chi storce il naso probabilmente ha un problema irrisolto di razzismo

Io amo profondamente il mio nome di battaglia ed è la cosa piu' bella che mi resta di Jack.

Inutile a dire che il prof. mi faceva lavare ogni volta il parabrezza del pulmino quando andavamo a giro, senza che io ci riuscissi...

e memorabile è la voce di Jack alla Castelletta di Fabriano che urlava alle quattro del mattino "ah pola' fa' 'r caffé" e io ero in piedi già da un'ora, durante la campagna di rilievi per la mia tesi di laurea...


per ulteriori notizie e avventure cliccate su Museo Jack Pallini e su Jack e la Cucina

venerdì 18 luglio 2014

I miei 40 anni, con lo zaino in spalla...

Non ho mai parlato dei miei 40 anni, compiuti di recente e che hanno portato numerose novità elettrizzanti: un figlio, un viaggio, un lavoro (e gli ultimi due addirittura coincidono per la maggior parte). Tutto sembra si stia incastrando a dovere e non può che farmi piacere...

Voglio parlare dei miei quarantanni (sì, tutto attaccato perché io me lo posso permettere ;-) ) con una lettera che mi ha fatto leggere la mia compagna di vita, la futura madre di mio figlio, LaLinda.

"Cara Ella,
buon compleanno! Quarant'anni è un'età meravigliosa, per gli uomini come per le donne. Lo sapevi che nel pensiero mistico il numero quaranta simbolizza l'ascesa da un livello a un altro, superiore, di risveglio spirituale? Il nostro lutto dura quaranta giorni. A un neonato occorrono quaranta giorni per poter cominciare la sua vita sulla terra. E quando ci innamoriamo dobbiamo lasciar passare quaranta giorni per essere sicuri dei nostri sentimenti.

Il diluvio di Noè durò quaranta giorni e se è vero che le acque distrussero la terra, è anche vero che lavarono via tutte le impurità e permisero al genere umano un nuovo inizio. Per il misticismo islamico ci sono quaranta gradi tra l'uomo e dio. Analogamente ci sono quattro stadi di fondo della consapevolezza, all'interno di ciascuno dei quali ci sono dieci gradi, che in totale fa quaranta livelli. Gesù Cristo visse nel deserto quaranta giorni e quaranta notti. Il profeta Maometto aveva quarant'anni quando fu chiamato a divenire profeta. Buddha meditò sotto un albero per quaranta giorni. Per non parlare delle quaranta regole di Shams.

A quarant'anni ricevi una nuova missione, una nuova possibilità. Hai raggiunto un numero fortunato. Congratulazioni! Non Temere di invecchiare. Non ci sono rughe né capelli grigi che tengano di fronte alla forza del quaranta!

Con affetto,

Aziz"

da "Le Quaranta Porte" di Elif Shafak.


venerdì 11 aprile 2014

C'è mancato poco...

....siamo sempre a faccia a faccia con la sorte... e direi anche una sorte a luoghi beffarda...

una di quelle volte è stata effettivamente un po' eccessiva anche per i miei gusti, ma fortunatamente sono qui a raccontarne per cui mi ha semplicemente arricchito.

Io faccio sport di montagna e d'inverno pratico il trekking con le ciaspole o con gli sci da fondo. Un giorno partiamo io, mio fratello e sua moglie e decidiamo di andare sul Gran Sasso a sgranchire le gambe. Scegliamo Fonte Vetica alle pendici di Monte Camicia (per chi fosse pratico o abbia già sentito questi nomi).

A Fonte Vetica (circa 1500 e rotti metri) c'è un parcheggio e un piccolo rifugio e da lì sia d'estate che d'inverno partono i sentieri per il Monte Camicia (2564 m). C'è un bosco che sale lungo il fianco della montagna e noi felici con le ciaspole lo costeggiamo. In effetti non c'era troppa neve e quel poco era pure ghiacciata: si saliva che era una bellezza.

All'estremità superiore di questo bosco, mio fratello ci propone di arrivare a quelle rocce lassù, ma giusto per vedere il panorama (ed eravamo vergognosamente lontano anche solo dall'idea che quell'enorme salita potesse avere fine sulla vetta della montagna). Continuiamo la camminata, sempre meglio con i piccoli uncini delle ciaspole che facevano aderenza sul ghiaccio, si poteva quasi correre per quanto si andava bene.

arriviamo al livello delle rocce facciamo una piccola sosta, sorsetto d'acqua, cioccolata ma poca, e decidiamo il da farsi...

Il pendio e la neve ghiacciata non permettono il ritorno indietro sullo stesso percorso e paradossalmente potevamo soltanto andare avanti.

Ecco che comincia il delirio, che fare?

decidiamo di buttarci nel vallone più vicino, dove presumibilmente poteva esserci più neve accumulata e quindi la discesa poteva essere più semplice. L'idea però non era troppo allettante perché è proprio nei canaloni dove le valanghe convergono. Tuttavia non c'era molto altro da fare e ci si sposta verso destra.

Lo schiacciamento della prospettiva, in montagna, non ci ha permesso di riconoscere la distanza effettiva tra la nostra posizione e la nostra meta e non riconoscemmo il canalone intermedio da attraversare.

Io non so quanti di noi abbiano esperienza di ciaspole (le racchette da neve) ma tutti, si spera, abbiano camminato in orizzontale sul fianco di un versante irto: un piede all'altezza dell'orecchio e uno 5 metri più in basso!!!! (è ovviamente un paradosso ma si assume una posizione più o meno di quel genere!!!)

Senza corde eravamo affidati solo a noi stessi, ma forse era meglio così perché bisogna anche saperle usare le corde e bisogna saper camminare legati ad un altro!

Mio fratello, che ci ha cacciato in quel guaio, sedicente maggiore esperto di montagna e sicuramente più atletico di me, parte per primo, segue la sua ragazza e io chiudo il gruppo (è la posizione che preferisco perché se succede qualche cosa posso intervenire, alla faccia del "maggiore esperto").

Dalla nostra posizione partiamo alla volta della prima cengia passando il primo canalone, uno alla volta, mio fratello segna la strada, arriva e comincia a dare direttive e soprattutto a fare una ripresa con la fotocamera (giusto! così quando ritroveranno la macchinetta sapranno come siamo morti, che possa arricchire!!!). Attraversa la compagna e io subito dopo, imprecando e sentenziando, eh eh he...

da questa cengia ora vedevamo il canalone dove eravamo diretti. Mio fratello parte e a metà trova una roccia nascosta dalla neve, e mo? sopra non si può passare perché in effetti il rigonfiamento era piuttosto esteso, allora bisogna scendere di un po', ma non troppo perché c'era un piccolo salto.... Gli diciamo addio e lui comincia la manovra... usando la punta delle ciaspole per creare degli scalini comincia a scendere, scivola anche un po' ma in maniera del tutto controllata (?!?!) e supera il passaggio e arriva nella vallecola. 

Tocca alla sua compagna, procede fino allo spunzone e comincia la piccola discesa, ma ecco che scivola e quello che è peggio è che le si sfila una bacchetta dalla mano... Mio fratello parte e va a raccoglierla e fortunatamente ci riesce.

Se in montagna perdi dell'attrezzatura, spesso si viene chiamati a calcolare quanto senso abbia cercare di recuperarla. L'attrezzatura non è mai un di più e se ce l'hai è perché ti aiuta e ti sostiene, tuttavia sul piatto della bilancia va messa anche la possibilità di farsi decisamente male per una qualche cosa che "va a morì ammazzato, statti là, e pace!!!".

Ma la bacchetta, in mezzo alla neve è fondamentale per sorreggersi, per frenare la discesa e per tutta una serie di cose che ti tengono lontano dal gelo bruciante della neve e del ghiaccio.

Comunque la bacchetta è stata raccolta, la ragazza si rialza e oltrepassa il pezzo. Tocca a me, arrivo al punto di discesa e mi rendo conto che con due passaggi e uno scivolone non c'è più lo scalino ma neve schiacchiata, devo fare qualche passo indietro e ricominciare una nuova discesa ricreandomi degli scalini. Lo faccio con la forza degli improperi e raggiungo gli altri.

(e mica è finita)

Stiamo su di un piccolo terrazzetto che per la verità ci sembrava più pianeggiante da lontano. La traversata di pochi metri ci ha portato via circa un'ora e mezzo ed è quasi ora di pranzo. Decidiamo di non pranzare su e di toglierci velocemente dalla situazione di rischio. 

Pensiamo che il peggio è passato e ci dirigiamo verso valle nella vallecola, e subito di ritroviamo di fronte ad un salto. Quel canalone, d'estate deve avere forma di forra allargata con vasche riempite e salti e cascate. D'inverno le forme sono perfettamente riassunte.

Ma c'è poco da discutere, stavolta la neve ce n'è in abbondanza e soprattutto abbiamo imparato la tecnica per scendere: facciamo la scaletta con la punta delle ciaspole, la infiggiamo con forza nella neve e usiamo il buco formato come scalino, e scendiamo...

... è stato come scendere una scala a pioli, ma lunga qualcosa come 300 metri, ho delle foto che sembra che stia salendo, ma in realtà scendevo...

raggiungiamo finalmente il fondo valle con l'adrenalina a mille e... vogliosi di un altro giro (ma pensa te!!!)

ma ci dirigiamo verso Fonte Vetica a riscaldarci e a preparare da mangiare, troviamo il caminetto già acceso da qualcuno che è passato prima di noi, rinforziamo il fuoco e ci prepariamo una passata di funghi liofilizzati che avevamo con noi... e avevamo anche un solo cucchiaio, ma mai passata di funghi fu più buona!!!

Rintemprati e riscaldati, dopo aver abbassato ma non spento il fuoco (c'erano ancora altri escursionisti a giro), decidiamo di andare verso un rifugio più attrezzato per prendere qualche cosa da bere, il padrone ci chiede dove siamo stati, glielo diciamo e lui ci ha fatto un "cazziatone" (si scusate il termine ma tutti gli altri erano riduttivi) di un'ora che proprio l'anno prima era andato a prendere due che erano morti a seguito di una valanga nello stesso canalone...


ma noi, fortunatamente, ne siamo usciti vivi...

Un'avventura in tre, l'inizio di un viaggio fantastico

Ero vagante, leggero, vicino a quella finestra marrone chiusa e mi divertivo a far cigolare l'insegna della locanda, si chiamava? ah si: "Il Puledro impennato". 

Ad un momento la finestra si apre improvvisa ed io sono attirato fresco dentro, nuovo e ricco mentre vedo allontanarsi calde e scure nel verso opposto le alitate interne.

Entro e comincio a girare con forza tra i tavoli e gli astanti, smuovo i capelli della cameriera e raffreddo il sudore che imperla il petto mostrato dalla generosa scollatura della bella cortigiana, volo intorno al boccale di birra che viene portato verso la bocca e trasporto lontano l'odore delle patate speziate che stanno per essere mangiate. 

Giro e vago per questo luogo semiscuro e prendo in prestito le chiacchiere ed i rumori che vengono prodotti.

Mi dirigo verso quel tavolo in fondo, quello dove c'è sempre poca luce, attirato lì dal risucchio del caminetto. 

Vengo intercettato e mi sposto verso il vecchio dal viso affilato e la lunga barba bianca. Lo vedo: sembra povero nell'abito, ma ha un cipiglio nel muovere le mani ed una luce negli occhi... 

Mi dirigo sempre più velocemente verso il suo naso, entro e le narici mi fanno spazio, vado giù nei polmoni, mi carico di aria calda, torno su e divento:"... e allora mi servono almeno tre volontari giovanotti che vogliano portare questo pacco, piccolo ma ahimè ambito, fino oltre i monti, e consegnarlo alla guarnigione che lì è di istanza. Purtroppo non posso farlo io stesso perché sono troppo vecchio, ormai..." e mentre riesco fuori mi giro un attimo e vedo uno sfavillio furbesco negli occhi dell'uomo: chissà cosa trama! 

Ma non ho tempo e di nuovo corro verso un ragazzo, magro e slavato, più delicato e pulito di tutti quelli che gli stanno attorno. E' ben vestito: pantaloni attillati camicia con le maniche a sbuffo ed un piccolo corpetto di cuoio, un corto mantello ed uno stiletto lungo ed affilato sul fianco. I capelli sono biondi e tagliati alla paggetto, ma che sciccheria! Ma cosa vedo sul corpetto? Ah uno scudo fregiato, due leoni, un giglio e uno stendardo, sarà il simbolo della sua famiglia? 

Ma ecco che entro e riesco da lui:" Io mi offro volontario messere, porterò io il vostro pacco e vi giuro sul mio onore che arriverà sano e salvo a destinazione!".

Subito vengo deviato dalla mia traiettoria per finire nella bocca del nano e riesco odorante di birra: "Ma dove pensi di andare, damerino dei miei stivali da solo per i monti! Verrò con te, avrai bisogno di me e della mia ascia, lassù! A me della birra fresca ora!" 

Vengo vomitato lontano da quel basso guerriero tutta barba e pancia e volo libero e roteante verso quella ragazza: orecchie a punta e viso delicato e occhi che possono stregare i venti e le nuvole, corpo sinuoso, forte e morbido. "Ehy mica penserai" dice con un sorriso "di andartene in giro solamente con quel nano lì, hai bisogno di qualcuno che ti levi dai guai dove ti ficcherai con lui..."

... 

"E sia" torno dal vecchio "il trio del viaggio è così formato.... che il vostro viaggio abbia inizio".

[to be continued]

mercoledì 9 aprile 2014

Una giornata al mare - Parte II

Ho cambiato spiaggia [sempre estate 2013, ndA.], ma anche ambiente, non più sabbia ma ciottoli, pure abbastanza grossolani!!! E il risultato è un mare molto più limpido, quasi un acquario.

Non resisto e mi immergo subito, a malapena ho il tempo di issare l'ombrellone.

Di corsa verso gli scogli, maschera e pinne, a vedere cosa c'è. Di corsa perché tra un po' arriveranno i pescatori della domenica che non riusciranno a prendere nulla, ma spaventeranno tutti gli animali della scogliera.

Nuoto a ridosso dei massi, ci passo in mezzo, ho una paura di strisciare con la pancia. E poi mi immergo, testa in giù a scrutare sotto una sporgenza. Ed ecco le spugne, gialle se sono vive, nere se sono morte. Ma una è bianca, faccio per toccarla e subito questa si serra contro lo scoglio. c'è qualcosa che non va, le spugne non si muovono mica. 

Riprendo fiato e mi riavvicino: la spugna copre interamente il carapace di un granchio così da permettergli una perfetta mimetizzazione. Ed è un granchio grande, con le chele può spezzarti un mignolo. Lo lascio pascolare tranquillo, anche perché mi rendo conto che c'è un altra spugna che si muove, più piccola, gialla, se la tocchi si serra anche essa, ma stavolta vinco io e la catturo. Un altro granchio, di una specie differente, sempre vestito da spugna. Ha chele piccole, ma zampe forti che si aggrappano con forza pungente al palmo della mia mano. Ci gioco un po' ma poi lo rimetto a posto sul suo scoglio.

Mi scopro a pensare se i granchi hanno problemi di territorio, e cosa succede se cambio scoglio ad un granchio?

Continuo a nuotare e ormai vedo granchi dappertutto, conto almeno 4 gruppi diversi (generi? specie?) o forse 5, tutti intenti a cercare qualcosa da mangiare o semplicemente accoccolati tra alghe e cozze. Vedo granchi con una sola chela e mi chiedo cosa succede se perdono anche quella rimasta, probabilmente moriranno di fame ed è un pensiero che un po' mi rattrista.

Non mi devo rattristare per questo, non solo sono animali che non hanno coscienza di se', non hanno il nostro modo di soffrire, e probabilmente non sentono dolore, magari in situazione di rischio preferiscono perdere la chela piuttosto che morire, guadagnando così almeno un altro momento di vita. Probabilmente vivono benissimo anche senza una chela.

E' facile anche che preferiscano perdere anche l'altra chela piuttosto che morire, incuranti di essere comunque condannati a morte. Tuttavia, l'antropomorfizzazione che facciamo del resto del vivente è così innata anche in me, che soffro come le chele strappate fossero mie. 

Ed è del tutto irrazionale e stupido.

Vado oltre e mi metto a giocare con i paguri, stessa domanda: ma se li sposto di scoglio succede qualche cosa alle comunità di paguro? Per evitare problemi sia per i granchi che per i paguri li lascio sul sasso di origine.

Con i paguri ho più confidenza e li lascio fare quello che vogliono e gironzolo con paguri appesi alle dita, come se niente fosse.

Torno indietro alla ricerca del mio amico granchio spugna, quello piccolo, lo ritrovo e lo riprendo, questa volta non cerca di sfuggire, ma si accoccola nelle pieghe della mano e si gode la passeggiata, quando è ora di liberarlo, non si lancia dalla mano, ma semplicemente cammina verso il suo scoglio.

E' ora di andarsene, un pescatore di granchi mi è passato vicino e non voglio che mi veda giocare con loro, potrebbe non avere il mio stesso riguardo.

Torno a riva e osservo colui che mi ha rubato il posto, non prende niente e ne sono felice. io quando ho voglia di granchio vado alla coop.