Oggi
il mare [estate 2013, ndA.] era una vera e propria piscina, piatto come se fosse stato lavorato da
un falegname e piacevole al contatto… meglio, così non si deve star lì a
tremare di freddo durante le prime bracciate…
Nel
primo metro di acqua, eccoli a nuotare,
gialli come la sabbia con cui vogliono mimetizzarsi, decine di cefali di
tutte le età: rendevano tutto movimentato. Avannotti freschi di
schiusa nuotano nervosi e numerosi nel primo centimetro d’acqua, mentre giovani
scavezzacolli provano la via quasi solitaria, ma si ritraggono velocemente,
adulti e sub-adulti regnano sovrani.
Ma
non sono soli, nascosti nella sabbia e solo saltuariamente visibili, granchi scorrazzano alla ricerca di quelle poche alghe da mangiare, lumache
di mare passeggiano lasciando le proprie scie, alla ricerca di vongole da bucare
e da mangiare. Le vongole, insieme alle telline, alle arselle e ai cannolicchi, se ne stanno beate infisse sul fondo a filtrare l’acqua di mare alla ricerca del
plancton.
Un
tuffo e sono in mezzo a loro, non mi degnano di uno sguardo e i più schivi
semplicemente vanno via o si nascondono sotto la sabbia. Ma tanto io non volevo
loro e quindi indosso maschera e pinne e mi dirigo verso gli scogli. L’acqua lì
si approfondisce e il fondo non mostra più quelle increspature a cui mi ero
abituato poco prima, ma è piatto. Toccandola la sabbia sembra più fine, ma
certo, per toccarla bisogna immergersi e raggiungere quasi i tre metri di
profondità.
Neanche
questo però è il mio obiettivo e continuo il mio viaggio verso la scogliera
artificiale. Essa è costituita da gruppi di blocchi rocciosi, calcarei, di
varia origine, disposti dall’uomo parallelamente alla costa o lievemente
obliqui, controcorrente, per aiutare il ripascimento costiero e garantire la
presenza di spiaggia per i duplici motivi turistici e di protezione delle
infrastrutture limitrofe.
Ma
queste scogliere sono anche il luogo ideale di vita per quegli animali e quelle
piante che hanno bisogno un substrato duro per le proprie funzioni vitali:
nutrirsi, sostenersi, riprodursi e proteggersi.
Nuoto
dritto verso gli scogli, ormai il fondo è abbastanza distante da sembrare
irraggiungibile, sebbene l’acqua sia calma e non torbida, la visibilità è
abbastanza limitata probabilmente a causa del riflesso del sole sulle
particelle di nutrienti (plancton per lo più) in sospensione.
Scoprire
gli scogli all’improvviso dietro questa cortina di riflessi mi preoccupa sempre
un po’ per cui controllo regolarmente la mia distanza dalla barriera. In ogni
caso l’ombra prima e poi lo scoglio vero e proprio mi colgono sempre di
sorpresa, lasciandomi tra l’affascinato e lo spaventato.
Spaventato,
probabilmente solo per un retaggio del passato che vede mia madre ripetermi
fino all’ossessione che “Sugli scogli non si va che se scivoli ti tagli un
piene e poi come si fa?”. Fino a quando poi il piede te lo tagli davvero sopra
lo scoglio e veramente poi non sai come fare…
Affascinato
perché un mondo nuovo, differente, misterioso si sta aprendo davanti a me.
Dopo
il primo contatto si prende facilmente confidenza con le rocce che ormai ti
circondano. Probabilmente dovrei cominciare ad usare i guanti per evitare il
rischio di tagliarmi, ma ci penso sempre troppo tardi. Mi avvicino e subito il
mondo diverso si fa vedere. Non vongole, ma cozze e ostriche dappertutto, mezze
aperte a filtrare anche loro, con i loro bordi taglienti pronti a dar ragione a
mia madre.
E le patelle lì dove la roccia è più libera, tra i livelli di alta e
bassa marea. Cerco il Chitone, una sorta di patella che ha il guscio formato
non da una sola parte a forma di cappello cinese, ma da diversi segmenti, detti
metameri, interconnessi come fosse un lombrico.
Condivide l’ambiente e il modo
di attaccarsi alla roccia con la patella, ma è molto più interessante.
Non lo
trovo.
Vedo però parecchi pomodori di mare, sembrano veramente “cuori di bue”
pronti per l’insalata, ma sono una delle due specie di anemone di mare che qui
colonizzano la scogliera. Questo è rosso con i tentacoli cortissimi nascosti
nella regione orale, l’altro è verde e ha dei tentacoli estroflessi
lunghissimi. Toccare l’uno e l’altro fa sentire una interessante sensazione di
qualcosa che si aggrappa.
Continuo
il mio giro e scopro i paguri. Pieno zeppo di questi crostacei che usano
conchiglie “dismesse” dagli originali proprietari. Formano vere e proprie
colonie sugli scogli, spesso addossati gli uni sugli altri.
Si riconoscono
dalle conchiglie abitate dal mollusco che le ha formate, anche senza prenderli,
perché nel caso dei paguri la conchiglia è lasciata andare senza cura, spesso rotta, mentre
il mollusco non ha sosta nel mettere a posto il proprio guscio.
E poi
i granchi a rovistare tra le cozze o sopra gli scogli ad asciugarsi al sole,
tutti in fila come ad una riunione sindacale, chissà di che parleranno mai!!! Uno
l’ho pure toccato, troppo distratto per scappare come tutti gli altri…
E poi
ancora i pesci da scoglio, diversi dai cefali, non nuotano bene, ma hanno certe
spine sulla schiena che per proteggersi non hanno proprio bisogno di
scappare!!!
E poi
finalmente là, l’oggetto del mio desiderio: un polpo. Non l’ho visto bene, ma
l’ho indovinato con la coda dell’occhio, piccolo, probabilmente grande come un
pugno, è scappato a nascondersi sotto un anemone di quelli verdi, ma è lì lo
vedo che cerca di trasformarsi in un alga per mimetizzarsi.
Io
non sono uscito a pesca per questa avventura, e in ogni caso non pesco i polpi:
mi stanno simpatici, ci si guarda negli occhi e volendo ci si può anche fare
amicizia. Il polpo è un cefalopode e tra i molluschi è il più intelligente, con
una sorta di proto-cervello che getta dell’intelligenza nei suoi occhi.
Addirittura
riesce ad aprire un barattolo con i tentacoli se dentro vede il granchio che è
la sua preda preferita (per altro il granchio piace tanto anche a me per cui
non possiamo non andare d’accordo). Ma non solo, esiste un gasteropode che ha
la conchiglia a forma di orecchio (per cui è chiamata Orecchio di mare,
Haliotis) che ha il lato interno di madreperla con tutte le sue irridescenze e
il polpo, dopo averlo predato, usa mettere la conchiglia ormai vuota, dal lato
con i riverberi, nella sua tana… per gusto?
Infine
il polpo riconosce, un po’ come le api e i cani. Se lo si tratta bene il polpo
può avere fiducia nell’uomo e può riconoscerlo e avvicinarsi fiducioso.
E io
sono andato fin laggiù solo per dare un’occhiata al polpo, stare lì a vedere
cosa fa e come.
Ahimé
forse perché piccolo o perché schivo non si è mosso e ha aspettato che me ne
andassi.
Così
mi sono allontanato e ho continuato la mia esplorazione sperando ancora in un
colpo di fortuna. Non è mancato e infatti mentre guardavo due granchi che si
contendevano chissà perché lo stesso posto, ecco spuntare da dietro una cozza
un piccolo gambero.
Sarà
stato lungo circa una falange, trasparente, intento a raccogliere quello che
più voleva e a portarlo in bocca. Mi ha visto sicuramente ma non dava adito di
averlo fatto. Piano piano allungo un dito verso di lui. Continua imperterrito a
fare quello che stava facendo. Mi avvicino finché non sfioro le antenne e lui
tranquillo. Continuo finché non arrivo alle chele e lui tranquillamente
comincia a cercare robe da mangiare sulle mie dita. Pinza con le chele pezzi di
pelle morta, ingentilita dal mio stare da ormai quasi un’ora in acqua, cerca di
tagliarmi un pelo e piano piano risale verso la mano.
Faccio
per aiutarlo, ma lo spavento e con uno scatto si allontana, ma resta vicino.
All’inizio ci rimango un po’ male, ma visto che è rimasto vicino, mi ripropongo
e lui accetta di buon grado di farmi questo servizio di rimozione pelle alle
mani. E’ stata un’esperienza emozionante.
Alla
fine, avevo raggiunto il grado di intimità con l’ambiente circostante che
cercavo e quindi per non dare ulteriore noia a polpi, gamberi, granchi, paguri
e pesci, me ne sono tornato sulla spiaggia per riposare.
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