venerdì 11 aprile 2014

C'è mancato poco...

....siamo sempre a faccia a faccia con la sorte... e direi anche una sorte a luoghi beffarda...

una di quelle volte è stata effettivamente un po' eccessiva anche per i miei gusti, ma fortunatamente sono qui a raccontarne per cui mi ha semplicemente arricchito.

Io faccio sport di montagna e d'inverno pratico il trekking con le ciaspole o con gli sci da fondo. Un giorno partiamo io, mio fratello e sua moglie e decidiamo di andare sul Gran Sasso a sgranchire le gambe. Scegliamo Fonte Vetica alle pendici di Monte Camicia (per chi fosse pratico o abbia già sentito questi nomi).

A Fonte Vetica (circa 1500 e rotti metri) c'è un parcheggio e un piccolo rifugio e da lì sia d'estate che d'inverno partono i sentieri per il Monte Camicia (2564 m). C'è un bosco che sale lungo il fianco della montagna e noi felici con le ciaspole lo costeggiamo. In effetti non c'era troppa neve e quel poco era pure ghiacciata: si saliva che era una bellezza.

All'estremità superiore di questo bosco, mio fratello ci propone di arrivare a quelle rocce lassù, ma giusto per vedere il panorama (ed eravamo vergognosamente lontano anche solo dall'idea che quell'enorme salita potesse avere fine sulla vetta della montagna). Continuiamo la camminata, sempre meglio con i piccoli uncini delle ciaspole che facevano aderenza sul ghiaccio, si poteva quasi correre per quanto si andava bene.

arriviamo al livello delle rocce facciamo una piccola sosta, sorsetto d'acqua, cioccolata ma poca, e decidiamo il da farsi...

Il pendio e la neve ghiacciata non permettono il ritorno indietro sullo stesso percorso e paradossalmente potevamo soltanto andare avanti.

Ecco che comincia il delirio, che fare?

decidiamo di buttarci nel vallone più vicino, dove presumibilmente poteva esserci più neve accumulata e quindi la discesa poteva essere più semplice. L'idea però non era troppo allettante perché è proprio nei canaloni dove le valanghe convergono. Tuttavia non c'era molto altro da fare e ci si sposta verso destra.

Lo schiacciamento della prospettiva, in montagna, non ci ha permesso di riconoscere la distanza effettiva tra la nostra posizione e la nostra meta e non riconoscemmo il canalone intermedio da attraversare.

Io non so quanti di noi abbiano esperienza di ciaspole (le racchette da neve) ma tutti, si spera, abbiano camminato in orizzontale sul fianco di un versante irto: un piede all'altezza dell'orecchio e uno 5 metri più in basso!!!! (è ovviamente un paradosso ma si assume una posizione più o meno di quel genere!!!)

Senza corde eravamo affidati solo a noi stessi, ma forse era meglio così perché bisogna anche saperle usare le corde e bisogna saper camminare legati ad un altro!

Mio fratello, che ci ha cacciato in quel guaio, sedicente maggiore esperto di montagna e sicuramente più atletico di me, parte per primo, segue la sua ragazza e io chiudo il gruppo (è la posizione che preferisco perché se succede qualche cosa posso intervenire, alla faccia del "maggiore esperto").

Dalla nostra posizione partiamo alla volta della prima cengia passando il primo canalone, uno alla volta, mio fratello segna la strada, arriva e comincia a dare direttive e soprattutto a fare una ripresa con la fotocamera (giusto! così quando ritroveranno la macchinetta sapranno come siamo morti, che possa arricchire!!!). Attraversa la compagna e io subito dopo, imprecando e sentenziando, eh eh he...

da questa cengia ora vedevamo il canalone dove eravamo diretti. Mio fratello parte e a metà trova una roccia nascosta dalla neve, e mo? sopra non si può passare perché in effetti il rigonfiamento era piuttosto esteso, allora bisogna scendere di un po', ma non troppo perché c'era un piccolo salto.... Gli diciamo addio e lui comincia la manovra... usando la punta delle ciaspole per creare degli scalini comincia a scendere, scivola anche un po' ma in maniera del tutto controllata (?!?!) e supera il passaggio e arriva nella vallecola. 

Tocca alla sua compagna, procede fino allo spunzone e comincia la piccola discesa, ma ecco che scivola e quello che è peggio è che le si sfila una bacchetta dalla mano... Mio fratello parte e va a raccoglierla e fortunatamente ci riesce.

Se in montagna perdi dell'attrezzatura, spesso si viene chiamati a calcolare quanto senso abbia cercare di recuperarla. L'attrezzatura non è mai un di più e se ce l'hai è perché ti aiuta e ti sostiene, tuttavia sul piatto della bilancia va messa anche la possibilità di farsi decisamente male per una qualche cosa che "va a morì ammazzato, statti là, e pace!!!".

Ma la bacchetta, in mezzo alla neve è fondamentale per sorreggersi, per frenare la discesa e per tutta una serie di cose che ti tengono lontano dal gelo bruciante della neve e del ghiaccio.

Comunque la bacchetta è stata raccolta, la ragazza si rialza e oltrepassa il pezzo. Tocca a me, arrivo al punto di discesa e mi rendo conto che con due passaggi e uno scivolone non c'è più lo scalino ma neve schiacchiata, devo fare qualche passo indietro e ricominciare una nuova discesa ricreandomi degli scalini. Lo faccio con la forza degli improperi e raggiungo gli altri.

(e mica è finita)

Stiamo su di un piccolo terrazzetto che per la verità ci sembrava più pianeggiante da lontano. La traversata di pochi metri ci ha portato via circa un'ora e mezzo ed è quasi ora di pranzo. Decidiamo di non pranzare su e di toglierci velocemente dalla situazione di rischio. 

Pensiamo che il peggio è passato e ci dirigiamo verso valle nella vallecola, e subito di ritroviamo di fronte ad un salto. Quel canalone, d'estate deve avere forma di forra allargata con vasche riempite e salti e cascate. D'inverno le forme sono perfettamente riassunte.

Ma c'è poco da discutere, stavolta la neve ce n'è in abbondanza e soprattutto abbiamo imparato la tecnica per scendere: facciamo la scaletta con la punta delle ciaspole, la infiggiamo con forza nella neve e usiamo il buco formato come scalino, e scendiamo...

... è stato come scendere una scala a pioli, ma lunga qualcosa come 300 metri, ho delle foto che sembra che stia salendo, ma in realtà scendevo...

raggiungiamo finalmente il fondo valle con l'adrenalina a mille e... vogliosi di un altro giro (ma pensa te!!!)

ma ci dirigiamo verso Fonte Vetica a riscaldarci e a preparare da mangiare, troviamo il caminetto già acceso da qualcuno che è passato prima di noi, rinforziamo il fuoco e ci prepariamo una passata di funghi liofilizzati che avevamo con noi... e avevamo anche un solo cucchiaio, ma mai passata di funghi fu più buona!!!

Rintemprati e riscaldati, dopo aver abbassato ma non spento il fuoco (c'erano ancora altri escursionisti a giro), decidiamo di andare verso un rifugio più attrezzato per prendere qualche cosa da bere, il padrone ci chiede dove siamo stati, glielo diciamo e lui ci ha fatto un "cazziatone" (si scusate il termine ma tutti gli altri erano riduttivi) di un'ora che proprio l'anno prima era andato a prendere due che erano morti a seguito di una valanga nello stesso canalone...


ma noi, fortunatamente, ne siamo usciti vivi...

Un'avventura in tre, l'inizio di un viaggio fantastico

Ero vagante, leggero, vicino a quella finestra marrone chiusa e mi divertivo a far cigolare l'insegna della locanda, si chiamava? ah si: "Il Puledro impennato". 

Ad un momento la finestra si apre improvvisa ed io sono attirato fresco dentro, nuovo e ricco mentre vedo allontanarsi calde e scure nel verso opposto le alitate interne.

Entro e comincio a girare con forza tra i tavoli e gli astanti, smuovo i capelli della cameriera e raffreddo il sudore che imperla il petto mostrato dalla generosa scollatura della bella cortigiana, volo intorno al boccale di birra che viene portato verso la bocca e trasporto lontano l'odore delle patate speziate che stanno per essere mangiate. 

Giro e vago per questo luogo semiscuro e prendo in prestito le chiacchiere ed i rumori che vengono prodotti.

Mi dirigo verso quel tavolo in fondo, quello dove c'è sempre poca luce, attirato lì dal risucchio del caminetto. 

Vengo intercettato e mi sposto verso il vecchio dal viso affilato e la lunga barba bianca. Lo vedo: sembra povero nell'abito, ma ha un cipiglio nel muovere le mani ed una luce negli occhi... 

Mi dirigo sempre più velocemente verso il suo naso, entro e le narici mi fanno spazio, vado giù nei polmoni, mi carico di aria calda, torno su e divento:"... e allora mi servono almeno tre volontari giovanotti che vogliano portare questo pacco, piccolo ma ahimè ambito, fino oltre i monti, e consegnarlo alla guarnigione che lì è di istanza. Purtroppo non posso farlo io stesso perché sono troppo vecchio, ormai..." e mentre riesco fuori mi giro un attimo e vedo uno sfavillio furbesco negli occhi dell'uomo: chissà cosa trama! 

Ma non ho tempo e di nuovo corro verso un ragazzo, magro e slavato, più delicato e pulito di tutti quelli che gli stanno attorno. E' ben vestito: pantaloni attillati camicia con le maniche a sbuffo ed un piccolo corpetto di cuoio, un corto mantello ed uno stiletto lungo ed affilato sul fianco. I capelli sono biondi e tagliati alla paggetto, ma che sciccheria! Ma cosa vedo sul corpetto? Ah uno scudo fregiato, due leoni, un giglio e uno stendardo, sarà il simbolo della sua famiglia? 

Ma ecco che entro e riesco da lui:" Io mi offro volontario messere, porterò io il vostro pacco e vi giuro sul mio onore che arriverà sano e salvo a destinazione!".

Subito vengo deviato dalla mia traiettoria per finire nella bocca del nano e riesco odorante di birra: "Ma dove pensi di andare, damerino dei miei stivali da solo per i monti! Verrò con te, avrai bisogno di me e della mia ascia, lassù! A me della birra fresca ora!" 

Vengo vomitato lontano da quel basso guerriero tutta barba e pancia e volo libero e roteante verso quella ragazza: orecchie a punta e viso delicato e occhi che possono stregare i venti e le nuvole, corpo sinuoso, forte e morbido. "Ehy mica penserai" dice con un sorriso "di andartene in giro solamente con quel nano lì, hai bisogno di qualcuno che ti levi dai guai dove ti ficcherai con lui..."

... 

"E sia" torno dal vecchio "il trio del viaggio è così formato.... che il vostro viaggio abbia inizio".

[to be continued]

mercoledì 9 aprile 2014

Una giornata al mare - Parte II

Ho cambiato spiaggia [sempre estate 2013, ndA.], ma anche ambiente, non più sabbia ma ciottoli, pure abbastanza grossolani!!! E il risultato è un mare molto più limpido, quasi un acquario.

Non resisto e mi immergo subito, a malapena ho il tempo di issare l'ombrellone.

Di corsa verso gli scogli, maschera e pinne, a vedere cosa c'è. Di corsa perché tra un po' arriveranno i pescatori della domenica che non riusciranno a prendere nulla, ma spaventeranno tutti gli animali della scogliera.

Nuoto a ridosso dei massi, ci passo in mezzo, ho una paura di strisciare con la pancia. E poi mi immergo, testa in giù a scrutare sotto una sporgenza. Ed ecco le spugne, gialle se sono vive, nere se sono morte. Ma una è bianca, faccio per toccarla e subito questa si serra contro lo scoglio. c'è qualcosa che non va, le spugne non si muovono mica. 

Riprendo fiato e mi riavvicino: la spugna copre interamente il carapace di un granchio così da permettergli una perfetta mimetizzazione. Ed è un granchio grande, con le chele può spezzarti un mignolo. Lo lascio pascolare tranquillo, anche perché mi rendo conto che c'è un altra spugna che si muove, più piccola, gialla, se la tocchi si serra anche essa, ma stavolta vinco io e la catturo. Un altro granchio, di una specie differente, sempre vestito da spugna. Ha chele piccole, ma zampe forti che si aggrappano con forza pungente al palmo della mia mano. Ci gioco un po' ma poi lo rimetto a posto sul suo scoglio.

Mi scopro a pensare se i granchi hanno problemi di territorio, e cosa succede se cambio scoglio ad un granchio?

Continuo a nuotare e ormai vedo granchi dappertutto, conto almeno 4 gruppi diversi (generi? specie?) o forse 5, tutti intenti a cercare qualcosa da mangiare o semplicemente accoccolati tra alghe e cozze. Vedo granchi con una sola chela e mi chiedo cosa succede se perdono anche quella rimasta, probabilmente moriranno di fame ed è un pensiero che un po' mi rattrista.

Non mi devo rattristare per questo, non solo sono animali che non hanno coscienza di se', non hanno il nostro modo di soffrire, e probabilmente non sentono dolore, magari in situazione di rischio preferiscono perdere la chela piuttosto che morire, guadagnando così almeno un altro momento di vita. Probabilmente vivono benissimo anche senza una chela.

E' facile anche che preferiscano perdere anche l'altra chela piuttosto che morire, incuranti di essere comunque condannati a morte. Tuttavia, l'antropomorfizzazione che facciamo del resto del vivente è così innata anche in me, che soffro come le chele strappate fossero mie. 

Ed è del tutto irrazionale e stupido.

Vado oltre e mi metto a giocare con i paguri, stessa domanda: ma se li sposto di scoglio succede qualche cosa alle comunità di paguro? Per evitare problemi sia per i granchi che per i paguri li lascio sul sasso di origine.

Con i paguri ho più confidenza e li lascio fare quello che vogliono e gironzolo con paguri appesi alle dita, come se niente fosse.

Torno indietro alla ricerca del mio amico granchio spugna, quello piccolo, lo ritrovo e lo riprendo, questa volta non cerca di sfuggire, ma si accoccola nelle pieghe della mano e si gode la passeggiata, quando è ora di liberarlo, non si lancia dalla mano, ma semplicemente cammina verso il suo scoglio.

E' ora di andarsene, un pescatore di granchi mi è passato vicino e non voglio che mi veda giocare con loro, potrebbe non avere il mio stesso riguardo.

Torno a riva e osservo colui che mi ha rubato il posto, non prende niente e ne sono felice. io quando ho voglia di granchio vado alla coop.

Una giornata al mare - Parte I

Oggi il mare [estate 2013, ndA.] era una vera e propria piscina, piatto come se fosse stato lavorato da un falegname e piacevole al contatto… meglio, così non si deve star lì a tremare di freddo durante le prime bracciate…

Nel primo metro di acqua, eccoli a nuotare,  gialli come la sabbia con cui vogliono mimetizzarsi, decine di cefali di tutte le età: rendevano tutto movimentato. Avannotti freschi di schiusa nuotano nervosi e numerosi nel primo centimetro d’acqua, mentre giovani scavezzacolli provano la via quasi solitaria, ma si ritraggono velocemente, adulti e sub-adulti regnano sovrani.

Ma non sono soli, nascosti nella sabbia e solo saltuariamente visibili, granchi scorrazzano alla ricerca di quelle poche alghe da mangiare, lumache di mare passeggiano lasciando le proprie scie, alla ricerca di vongole da bucare e da mangiare. Le vongole, insieme alle telline, alle arselle e ai cannolicchi, se ne stanno beate infisse sul fondo a filtrare l’acqua di mare alla ricerca del plancton.

Un tuffo e sono in mezzo a loro, non mi degnano di uno sguardo e i più schivi semplicemente vanno via o si nascondono sotto la sabbia. Ma tanto io non volevo loro e quindi indosso maschera e pinne e mi dirigo verso gli scogli. L’acqua lì si approfondisce e il fondo non mostra più quelle increspature a cui mi ero abituato poco prima, ma è piatto. Toccandola la sabbia sembra più fine, ma certo, per toccarla bisogna immergersi e raggiungere quasi i tre metri di profondità.

Neanche questo però è il mio obiettivo e continuo il mio viaggio verso la scogliera artificiale. Essa è costituita da gruppi di blocchi rocciosi, calcarei, di varia origine, disposti dall’uomo parallelamente alla costa o lievemente obliqui, controcorrente, per aiutare il ripascimento costiero e garantire la presenza di spiaggia per i duplici motivi turistici e di protezione delle infrastrutture limitrofe.
Ma queste scogliere sono anche il luogo ideale di vita per quegli animali e quelle piante che hanno bisogno un substrato duro per le proprie funzioni vitali: nutrirsi, sostenersi, riprodursi e proteggersi.

Nuoto dritto verso gli scogli, ormai il fondo è abbastanza distante da sembrare irraggiungibile, sebbene l’acqua sia calma e non torbida, la visibilità è abbastanza limitata probabilmente a causa del riflesso del sole sulle particelle di nutrienti (plancton per lo più) in sospensione.

Scoprire gli scogli all’improvviso dietro questa cortina di riflessi mi preoccupa sempre un po’ per cui controllo regolarmente la mia distanza dalla barriera. In ogni caso l’ombra prima e poi lo scoglio vero e proprio mi colgono sempre di sorpresa, lasciandomi tra l’affascinato e lo spaventato.

Spaventato, probabilmente solo per un retaggio del passato che vede mia madre ripetermi fino all’ossessione che “Sugli scogli non si va che se scivoli ti tagli un piene e poi come si fa?”. Fino a quando poi il piede te lo tagli davvero sopra lo scoglio e veramente poi non sai come fare…

Affascinato perché un mondo nuovo, differente, misterioso si sta aprendo davanti a me.

Dopo il primo contatto si prende facilmente confidenza con le rocce che ormai ti circondano. Probabilmente dovrei cominciare ad usare i guanti per evitare il rischio di tagliarmi, ma ci penso sempre troppo tardi. Mi avvicino e subito il mondo diverso si fa vedere. Non vongole, ma cozze e ostriche dappertutto, mezze aperte a filtrare anche loro, con i loro bordi taglienti pronti a dar ragione a mia madre. 

E le patelle lì dove la roccia è più libera, tra i livelli di alta e bassa marea. Cerco il Chitone, una sorta di patella che ha il guscio formato non da una sola parte a forma di cappello cinese, ma da diversi segmenti, detti metameri, interconnessi come fosse un lombrico. 

Condivide l’ambiente e il modo di attaccarsi alla roccia con la patella, ma è molto più interessante. 

Non lo trovo. 

Vedo però parecchi pomodori di mare, sembrano veramente “cuori di bue” pronti per l’insalata, ma sono una delle due specie di anemone di mare che qui colonizzano la scogliera. Questo è rosso con i tentacoli cortissimi nascosti nella regione orale, l’altro è verde e ha dei tentacoli estroflessi lunghissimi. Toccare l’uno e l’altro fa sentire una interessante sensazione di qualcosa che si aggrappa.

Continuo il mio giro e scopro i paguri. Pieno zeppo di questi crostacei che usano conchiglie “dismesse” dagli originali proprietari. Formano vere e proprie colonie sugli scogli, spesso addossati gli uni sugli altri. 

Si riconoscono dalle conchiglie abitate dal mollusco che le ha formate, anche senza prenderli, perché nel caso dei paguri la conchiglia è lasciata andare senza cura, spesso rotta, mentre il mollusco non ha sosta nel mettere a posto il proprio guscio.

E poi i granchi a rovistare tra le cozze o sopra gli scogli ad asciugarsi al sole, tutti in fila come ad una riunione sindacale, chissà di che parleranno mai!!! Uno l’ho pure toccato, troppo distratto per scappare come tutti gli altri…

E poi ancora i pesci da scoglio, diversi dai cefali, non nuotano bene, ma hanno certe spine sulla schiena che per proteggersi non hanno proprio bisogno di scappare!!!

E poi finalmente là, l’oggetto del mio desiderio: un polpo. Non l’ho visto bene, ma l’ho indovinato con la coda dell’occhio, piccolo, probabilmente grande come un pugno, è scappato a nascondersi sotto un anemone di quelli verdi, ma è lì lo vedo che cerca di trasformarsi in un alga per mimetizzarsi.

Io non sono uscito a pesca per questa avventura, e in ogni caso non pesco i polpi: mi stanno simpatici, ci si guarda negli occhi e volendo ci si può anche fare amicizia. Il polpo è un cefalopode e tra i molluschi è il più intelligente, con una sorta di proto-cervello che getta dell’intelligenza nei suoi occhi.

Addirittura riesce ad aprire un barattolo con i tentacoli se dentro vede il granchio che è la sua preda preferita (per altro il granchio piace tanto anche a me per cui non possiamo non andare d’accordo). Ma non solo, esiste un gasteropode che ha la conchiglia a forma di orecchio (per cui è chiamata Orecchio di mare, Haliotis) che ha il lato interno di madreperla con tutte le sue irridescenze e il polpo, dopo averlo predato, usa mettere la conchiglia ormai vuota, dal lato con i riverberi, nella sua tana… per gusto?

Infine il polpo riconosce, un po’ come le api e i cani. Se lo si tratta bene il polpo può avere fiducia nell’uomo e può riconoscerlo e avvicinarsi fiducioso.

E io sono andato fin laggiù solo per dare un’occhiata al polpo, stare lì a vedere cosa fa e come.
Ahimé forse perché piccolo o perché schivo non si è mosso e ha aspettato che me ne andassi.
Così mi sono allontanato e ho continuato la mia esplorazione sperando ancora in un colpo di fortuna. Non è mancato e infatti mentre guardavo due granchi che si contendevano chissà perché lo stesso posto, ecco spuntare da dietro una cozza un piccolo gambero.

Sarà stato lungo circa una falange, trasparente, intento a raccogliere quello che più voleva e a portarlo in bocca. Mi ha visto sicuramente ma non dava adito di averlo fatto. Piano piano allungo un dito verso di lui. Continua imperterrito a fare quello che stava facendo. Mi avvicino finché non sfioro le antenne e lui tranquillo. Continuo finché non arrivo alle chele e lui tranquillamente comincia a cercare robe da mangiare sulle mie dita. Pinza con le chele pezzi di pelle morta, ingentilita dal mio stare da ormai quasi un’ora in acqua, cerca di tagliarmi un pelo e piano piano risale verso la mano.

Faccio per aiutarlo, ma lo spavento e con uno scatto si allontana, ma resta vicino. All’inizio ci rimango un po’ male, ma visto che è rimasto vicino, mi ripropongo e lui accetta di buon grado di farmi questo servizio di rimozione pelle alle mani. E’ stata un’esperienza emozionante.


Alla fine, avevo raggiunto il grado di intimità con l’ambiente circostante che cercavo e quindi per non dare ulteriore noia a polpi, gamberi, granchi, paguri e pesci, me ne sono tornato sulla spiaggia per riposare.

Introduzione

... e qui ricomincia l'avventura del blogger...

dalle ceneri di "Geologia e Paleontologia" nasce "...Con lo zaino sulle spalle..."

Tranquilli!! Non è l'ennesimo blog sui viaggi fai da te in giro per il mondo in maniera più o meno arrangiata. "Con lo zaino sulle spalle" è come io mi presento a tutti, ovunque mi trovi.

Io mi sposto tanto e molto di frequente, sia per lavoro che per diletto, e ho sempre uno zaino con me, per il computer, per la montagna, per i miei libri, per le mie ricerche...

non una tracolla e neanche una valigetta: uno zaino.

(e così il peso lo divido in maniera equilibrata sulle spalle)

Addirittura un amico mi ha detto che "Con lo zaino sulle spalle" è proprio la mia icona. Quando pensa a me, mi immagina con il mio immancabile zaino.

E allora è proprio così che mi voglio presentare al mondo del web...

...con lo zaino sulle spalle...

"ddu' pa..." censurando mi sembra di sentire, non c'è problema non è necessario leggermi per forza, con un click ecco che io non appaio più...

tuttavia sebbene io scriva per me, chiunque voglia leggermi è ben accetto...

si comincia...

... con lo zaino sulle spalle...

erpolacco

domenica 6 aprile 2014

La mia "L'Aquila"

La mia esperienza con il Terremoto de L'Aquila


Sono passati 5 anni dal terremoto che ha sconvolto L'Aquila e l'Abruzzo intero. In questa occasione, mentre la ricostruzione avanza decisamente a fatica tra mille polemiche e ritardi, voglio raccontare la mia esperienza in quel periodo.

Bisogna premettere che non sono nuovo ad esperienze di terremoto, ricordo il terremoto di Pescasseroli nel 1984 (http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerGiorno.php?year=1984&month=05&day=7) che per altro non era a Pescasseroli; ricordo il terremoto dell'Umbria Marche, nel 1997, ero lì il giorno dell'ultima scossa, ma di questo si potrà parlare in un altro post.

Da quando, poi, mi sono iscritto a Geologia presso l'Università di Chieti, mio padre mi svegliava sistematicamente con notizie di geologia e quindi anche il giorno del terremoto di San Giuliano di Puglia, in Molise. Mio padre mi svegliò dicendomi "Andrè c'è stato un terremoto in emilia romagna e uno a Campobasso, e hanno ucciso quel cantante che piace a te [JMJ di RunDMC, ndA.]"... la prima risposta è stata: "Meh, buongiorno anche a te..."

Tuttavia aver saputo subito dei due avvenimenti sismici ha permesso, quando poi c'è stata la scossa delle 11 e passa che ha fatto crollare la scuola di San Giuliano di Puglia, di immaginare subito dove è avvenuto il sisma. La scossa si era sentita forte all'Università di Chieti per cui se correlabile ai due eventi notturni, non poteva che essere molisana.

Ma L'Aquila... 

...in quel periodo già non vivevo più con i miei e quindi non c'era più mio padre che alle sei del mattino, e penso anche con gusto sadico, mi aggiornava su tutte le notizie geologiche italiane e mondiali. Inoltre lavoravo via per cui non ero riuscito a seguire la cronaca locale...

di fatto ero del tutto all'oscuro della scia sismica che flagellava da mesi l'aquilano.

Quella notte di cinque anni fa, andai a dormire con l'idea di svegliarmi ad un'ora improbabile per andare in ufficio a Rimini ma durante la notte venni svegliato da un rumore di ferraglia...

Vivevo in una casa che tremava al passaggio dei motorini e quindi il mio pensiero, e me ne vergogno un pochettino, è stato: "Ma chi è con questo camion che deve fare tutto sto casino alle 3 e mezzo del mattino?"...

la mia compagna invece è stata più presente a se stessa e così siamo usciti come convenzione sociale durante i terremoti vuole: mezzi nudi, infreddoliti e fermi sulla porta di casa... due chiacchiere con i vicini nelle stesse condizioni, una telefonata a mamma e via di nuovo a nanna, ignari di quello che era successo...

ho scoperto invece quanto era successo solo qualche ora più tardi, dalla radio, mentre stavo andando al lavoro, sull'autostrada.

E non sono riuscito a trattenere le lacrime... piangevo a 130 km orari...

la mia compagna mi chiese perché stessi piangendo... già perché? in effetti non era il mio primo terremoto, li ho anche studiati, ci ho lavorato, ne ho vissuti altri più o meno vicini, con una lieve scossa addirittura una volta mi ci sono addormentato, e invece questa volta la commozione ha preso il sopravvento.

E la commozione è probabilmente legata al luogo del sisma: l'Aquila. 

Io ho sempre considerato L'Aquila la capitale naturale dell'Abruzzo, come Roma è la capitale naturale d'Italia. L'Aquila è stata sempre il crocevia delle genti d'Abruzzo, chiunque in Abruzzo ha qualcuno a L'Aquila. E' caratteristica e remota, pregna del fascino tipico di una Capitale. Anche la sua storia mista a leggenda è degna di una capitale...

Quindi sapere (e poi vedere) quanto fosse stata ferita la città quasi simbolo del mio Abruzzo mi ha devastato e le lacrime sono uscite senza comando...

passato il moto di commozione ho subito cercato di capire, con i miei strumenti intellettuali, cosa fosse successo, ho provato a chiamare i miei contatti ma tutti brancolavano in u qualche tipo di buio, ma ritengo sia fisiologico a scossa avvenuta...

non è che la geologia la si inventa lì per lì...

In un istante però il 2009 sembrava essere tornato indietro di mille anni, il mio telefono ribolliva per le richieste di informazioni di amici e colleghi su tutte le notizie che si rincorrevano: "ma hanno detto che il terremoto sta venendo qui", "ma hanno telefonato che sta per succedere di qua"... e via discorrendo...

e quindi ho passato il tempo a tranquillizzare tutti, ma non tanto sul fatto che non sarebbe "arrivato" nessun terremoto, ma sul fatto che il terremoto non è prevedibile e quindi chiunque dia annunci di sismi imminenti non sta dicendo il vero...

chiunque avverta di un terremoto che sta per arrivare fa solo del terrorismo, e come tale andrebbe trattato... (questo per intenderci)...

Poi finalmente sono tornato a casa, a Chieti, e dopo una giornata infinita di medioevi e cacce alle streghe sono andato a dormire...

e nuovamente una scossa, ma questa volta non mi ha colto impreparato... era lunga, importante e io l'ho ascoltata interamente, sono rimasto allungato nel letto, sveglio, la lampada da lettura accesa, e ho seguito tutto l'evento, dall'abbaiare dei cani del vicino, fino alla telefonata di mia madre...

L'evento è stato il seguente:
tutto è iniziato con un abbaiare furioso e allarmato dei cani del vicino, subito dopo, prima lentamente ma quasi subito il volume ha raggiunto il proprio massimo, il boato della scossa, poco dopo l'inizio del rumore, l'onda e tutti gli scricchiolii che la mia casa ha prodotto, prolungati, poi lentamente, molto più lentamente di come era iniziato, prima i mobili e poi il boato si sono zittiti, è rimasto per un po' il lampadario a ballare, finché non è tornato il silenzio....

qualche secondo ed ecco la telefonata: "andré l'hai sentito?", risposta affermativa, ci siamo tranquillizzati a vicenda, e ciao a domani...

al che mi sono addormentato...

è stato necessario, per me, tornare ad avere il polso e capire cosa succede, solo in questa maniera il professionista, e in questo caso il geologo, può essere in qualche maniera d'aiuto... 

...non tanto tecnicamente, perché questo avrebbe dovuto farlo prima, ma quanto meno dovrebbe conoscere la situazione e parlarne con la gente...

il terremoto non si può prevedere, ma si può fare prevenzione tecnica ma soprattutto culturale e civile...

tutti dobbiamo sviluppare gli strumenti intellettuali per non farsi prendere dal panico in situazioni di sismi, solo il geologo può sviluppare le capacità necessarie per fornire tali strumenti.

Andrea