mercoledì 15 novembre 2017

La ricerca de.... li cascigne...

Preambolo
A scuola, ai miei studenti, racconto spesso la storia di una mia disavventura contemporaneamente avventura successa da piccolo e con la quale parlo dello stimolo della curiosità.

Ho la fortuna di poter parlare e confrontarmi con quasi una settantina di ragazzi delle scuole medie, in due scuole differenti di Firenze, ragazzi provenienti da tantissime parti del mondo, ognuno con i propri usi e costumi e ovviamente modi di affrontare la vita.

Addirittura ho l'occasione di fare loro lezione in più lingue, arricchendo e migliorando il mio inglese, incastrato nella loro volontà di insegnarmi lo spagnolo.

E mi diverto tantissimo...

Insegno loro le matematiche e le scienze e ho osservato una cosa che li accomuna tutti, e accomuna anche i loro omologhi dell'anno passato: non sempre vanno oltre l'assegnato, non utilizzano la propria naturale curiosità che li porta a fare le scoperte di tutti i giorni, anche a scuola per approfondire gli argomenti.

Approfondimenti che spesso sono necessari non tanto per saperne di più, ma per impadronirsi della materia e fare in modo che ci diventi automatica e possa permetterci di ottenere risultati e voti soddisfacenti senza il rischio dei brutti scherzi legati alla insicurezza.

E ogni volta racconto loro di come feci la mia prima ricerca autonoma, frutto dell'impossibilità di credere a quanto la mia stessa insegnante mi stesse dicendo.

Ed è una ricerca nel mondo del mio dialetto, l'abruzzese, e delle sue traduzioni.

Il fattaccio
Un bel giorno, ero in quarta elementare, a casa di amici scopro una verdura nuova, selvatica, che puoi mangiare sia ad insalata che ripassata in padella... 

Aveva un sapore deciso e, sebbene amarognolo, molto gradevole, da cruda pizzicava il palato...

Ho chiesto il nome e me l'hanno detto

"quess è li cascigne!"

"Li cascigne", chissà quale era il loro nome in italiano... Il giorno successivo, a scuola, chiedo alla maestra.

La maestra era nuova, non quella dell'anno precedente, con lei avremmo fatto quarta e quinta e ci stavamo conoscendo. Aveva, ricordo, un modo tutto suo di affrontare le materie e, addirittura, a storia affrontammo il discorso al contrario, partendo dal recente e andando verso il passato...

Non ricordo il nome della maestra e il metodo per quanto poco ortodosso sembrava interessante, tuttavia non portò ai risultati sperati tant'è che rimanemmo con un vuoto di tutto quello che successe fino alla fine della terza elementare e quello che mancava alla fine della quinta ma andando a ritroso a partire dai giorni nostri... Insomma un casino infinito.

Vado speranzoso da lei e le chiedo quale fosse il termine italiano per "li cascigne", sicuro ci fosse come per qualsiasi parola dialettale nella nostra lingua. 

Lei mi risponde che non esisteva il corrispettivo...

Non c'era il corrispettivo? Ma che?! Scherziamo?! Non era possibile...

Torno a casa e penso d'averne parlato con i miei e loro mi proposero un vocabolario di Italiano - Abruzzese, Abruzzese - Italiano. Un libro più unico che raro, dalla copertina ormai distrutta dall'età e dall'uso, di mio zio, il quale l'ha poi rivoluto.

Cerco i famigerati "cascigne" e trovo la soluzione..

Cascigne: crespigno o cicerbita.

Li cascigne, conosciuti anche come crespigno (con le foglie crespe che pungono il palato, appunto!) o cicerbita (come viene chiamata da mia suocera qui in toscana dove vivo), sono una particolare verdura di campo, simile alla cicoria o al tarassaco, che selvatica si trova dappertutto.

Lu cascegne, o crespigno o Cicerbita, Sonchus oleraceus Linnaeus, 1753. Tratto dalla pagina wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Sonchus_oleraceus

Svelato l'arcano e tronfio di un'autostima di cui eccello e che sono coscio spesso rasenta il difetto, porto il risultato della mia scoperta ad una basita maestra.

Certo, io pecco in modi di fare, ma dall'altro lato alla risposta "non esiste" ho reagito con la ricerca con l'inconsapevole voglia di soddisfare la necessità di conoscenza, perché non può esistere un "no" ma il no deve essere dimostrato. 

E la maestra si sbagliava.

Conclusioni
Questa è stata la mia prima ricerca, libera ed indipendente, in risposta ad una risposta non soddisfacente e, come si è rivelato, anche sbagliata.

La curiosità ce l'abbiamo tutti, dobbiamo allenarla affinché ci possa aiutare duranti le fasi della nostra crescita, e non deve essere frustrata con gli "è impossibile" o i "non esiste". ' necessario che, invece, ci si provi a dare una risposta, per quanto sbalgiata, che si stimoli la naturale voglia di sfida e di conoscenza che i ragazzi hanno, incamminandosi spesso su sentieri poco battuti ma che portano alla scoperta dei più importanti tesori.


mercoledì 28 giugno 2017

Contina Di Cencio, 2016

Oggi cade il primo anniversario della pubblicazione del mio primo lavoro a nome unico. Segue la citazione e per chi fosse interessato basta cliccare sul mio nome.


Di Cencio A. (2016) - Contina, a new name for genus Vacekia Conti & Szabò, 1989 (Mollusca: Gasteropoda), preoccupied by Vacekia Buckman, 1904 (Mollusca: Ammonoidea). Boll. soc. Paleont. It., 55(1): 79-80. 




Contina gardana (Vacek, 1886), olotipo figurato da Vacek (1886, fig. a., b, c) e da Conti & Szabò (1989, fig. d)






Si rinomina Vacekia il gasteropode il cui nome è già occupato da Vacekia l'ammonite. Per le regole della nomenclatura zoologica ha diritto di precedenza il nome istituito prima e l'ammonite è stata classificata da Buckman nel 1905, mentre il gasteropode da Conti & Szabò nel 1989.

Interessante osservare come il gasteropode Vacekia e l'ammonite Vacekia fossero vissuti più o meno nello stesso periodo, al passaggio tra Giurassico inferiore e Giurassico medio (tra Toarciano e aaleniano, per chi se ne intende), come a dire che Vacekia, qualunque cosa fosse poteva essere vissuto solo allora.

E il nome, Contina, è dedicato alla prof. Conti, già Università La Sapienza, Roma, uno dei due autori di Vacekia il gasteropode.

Il lavoro nasce dall'aver riscontrato un problema, questa volta legato alla nomenclatura paleontologica, e dalla volontà di volerlo risolvere. Ma nel momento stesso che il lavoro è stato sottoposto a rivista eccolo là che nascono i problemi più insormontabili. 

Chi leggerà il lavoro osserverà che il manoscritto è stato spedito nel 2012 ma è stato possibile pubblicarlo solo nel 2016. E meno male  che non avevo velleità di concorsi universitari. Questo perché l'altro autore, Szabò, già in pensione, non diede il permesso, se non dopo 4 anni di cambiare il suo nome non utilizzabile.

Ma anche questo inghippo è stato risolto e dopo 4 anni finalmente il mio lavoro, evidentemente ritenuto opportuno, ha visto la luce.

E mi ha riempito di orgoglio perché per una volta la ricerca scientifica non è stata targata università, ma è stata anche se per poco appannaggio della libera professione.

A maggior ragione è importante per me avere un lavoro a nome unico con affiliazione presso il mio studio professionale perché questa volta non figuro come consulente, ma primo ed unico attore di un progetto, la nomenclatura aggiornata, realizzato.

Siamo rimasti in pochi a fare quello che faccio io come ambito paleontologico e quindi ben vengano le collaborazioni tra accademie ed esterni, ma anche proposte di soli esterni, altrimenti si rischia che interi ambiti di ricerca perdano professionisti e studiosi.

E infine volete mettere? Adesso il mio nome è diventato immortale!!!

lunedì 24 aprile 2017

Ma come sono estinti i dinosauri? Cosa è veramente successo? - Parte Prima

Eh? Hai visto che bel titolo? degno di tutti quei giornali sensazionalisti che poi pretendono anche di avere ragione scopiazzando qua e là la teoria che spacciano per più accreditata!

Ma nel mio caso le domande sono sincere. Io veramente non ne so molto. A differenza di quei detrattori che pretendono che visto che faccio il paleontologo debba conoscere a mena dito tutta la scienza, io mi occupo bene di Giurassico inferiore e per tutto il resto devo ahimé ricorrere all'assistenza di chi è più esperto di me.

E i casi della vita mi hanno portato a leggere una traduzione italiana di un libro del Prof. Benton, paleontologo anglosassone a cui per altro ho mandato anche una domanda di dottorato con tanto di curriculum... insomma in qualche maniera ci conosciamo... eh ehe h... 

E il suo libro in realtà tratta della più grande catastrofe di tutti i tempi, che poi è anche il suo titolo italiano, ossia l'estinzione di massa denominata Permo-triassica, quando circa 250 milioni di anni fa, è scomparso qualcosa come il 90-95% del vivente... 

e pensare che l'uomo ancora non c'era... oops questa è contro coloro che pensano che l'uomo abbia qualche chance di fare la differenza su questo pianeta!!!

Insomma, nella parte iniziale del libro, l'autore ripercorre gli ultimi 150 anni di evoluzione del pensiero scientifico a riguardo delle estinzioni di massa, tra negazione e accettazione, tra baroni conservatori e spericolati speculatori. E inevitabilmente tra le varie estinzioni di massa, la più affascinante e impattante nell'immaginario collettivo è quella che ha comportato l'estinzione del superordine Dinosauria Owen, 1842

Nella disamina l'autore fa alcune considerazioni che saranno l'anima di questo post. A pagina 87 dell'edizione italiana, l'autore scrive un capitoletto intitolato "Cento teorie per la fine dei dinosauri":

"Negli anni che vanno dal 1920 al 1990, furono avanzate almeno un centinaio di teorie per l'estinzione dei dinosauri" circa una o due all'anno. "Nessuna pietra e nessun fossile fu trascurato nella ricerca di nuove teorie e queste spaziavano dalla semplice biologia alle interazioni tra specie, ai cambiamenti ambientali, ai fattori extaterrestri.... Nel 1964, l'esperto americano di dinosauri Jepsen ne elencò 40. nel 1990, io [l'autore] sono riuscito ad individuarne più di cento diverse.


Senza elencare i commenti ai convegni o le congetture dei giornali, evitando le dicerie e le storielle di studenti, sono state considerate solo quelle teorie presentate attraverso i canali ufficiali della pubblicazione scientifica, e quindi i dati sono stati controllati da almeno due o tre esperti terzi prima di essere dati alle stampe.

Ed è quanto segue.

Cento Teorie riguardanti l'estinzione dei dinosauri, presentate dal 1842 al 1990.


Cause biotiche (26): problemi medici: ernia del disco; disfunzione o squilibrio del sistema ormonale; iperattività della ghiandola pituitaria e crescita eccessiva (acromegalia) delle ossa e delle cartilagini; ossa degli arti troppo pesanti; assottigliamento patologico dei gusci delle uova; calo dell'attività sessuale; cecità dovuta alla cataratta; malattie (carie, artrite, fratture, infezioni); epidemie; parassiti; AIDS provocato da una crescente promiscuità; mutamento nel rapporto del DNA nel nucleo cellulare. Disturbi mentali: diminuzione, dell'attività celebrale e conseguente stupidità; mancanza di conoscenza e deficienza nell'abilità di modificare il comportamento; sviluppo di fattori che determinarono una psicosi suicida; Palaeoweltschmerz. Disturbi genetici: tasso eccessivo di mutazione indotto da valori elevati di raggi cosmici; aborto degli embrioni a causa dei raggi cosmici.

Senilità razziale (6): alterazione evolutiva verso una superspecializzazione nella senescenza, come si evince da gigantismo, dall'eccessiva crescita di aculei o dalla smisurata corazza; invecchiamento della razza. L'incremento dei livelli di disfunzione ormonale condusse alla crescita sempre maggiore di corna e di collari superflui; la pesantezza della nuca ne impediva il sollevamento.

Interazioni biotiche (6): competizione con i mammiferi; competizione con i bruchi che si cibarono di tutte le piante; capacità di sterminio da parte dei predatori; i mammiferi si nutrirono con le uova dei dinosauri; consumo di tutta la vegetazione da parte di dinosauri giganti; avvelenamento da metano provocato dalla flatulenza dei dinosauri.

Mutamenti della flora (11): la diffusione delle angiosperme e la riduzione delle gimnosperme e delle felci disponibili causò un calo degli olii di felce nella dieta dei dinosauri e una morte lenta per una cospipazione temrinale; mancanza di una vegetazione tipica delle paludi; l'aumento delle foreste determinò la perdita dell'habitat; notevole diminuzione della disponibilità di piante commestibili; presenza nelle angiosperme di alcaloidi e tannini velenosi; presenza di altre sostanze velenose nelle piante; carenza di calcio e di altri minerali indispensabili alla vegetazione; l'aumento delle angiosperme e del loro polline causò l'estinzione dei dinosauri per una rinite allergica.

Cambiamenti di clima (12): il clima divenne eccessivamente caldo; il clima divenne troppo freddo; il clima divenne troppo secco; il clima divenne eccessivamente umido; diminuzione dell'uniformità climatica e incremento dei fenomeni stagionali.

Variazione dell'atmosfera (7): mutamenti nella pressione o nei componenti dell'atmosfera; gli elevati livelli di ossigeno nell'atmosfera causarono incendi; gli esigui livelli di anidride carbonica fecero venire meno lo "stimolo del respiro"; elevati livelli di anidride carbonica nell'atmosfera e morte per asfissia degli embrioni nelle uova dei dinosauri; gli estesi fenomeni del vulcanesimo produssero polvere vulcanica; il selenio o altre sostanze tossiche causarono l'assottigliamento dei gusci delle uova dei dinosauri.

Mutamenti oceanici e topografici (12): trasgressione e regressione del livello del mare; orogenesi; prosciugamento delle paludi e dei laghi; ristagnamento degli oceani a causa degl ielevati livelli di anidride carbonica; mancanza di ossigeno nelle acque profonde; il traboccamento delle acque dell'Artico precedentemente contenute negli oceani portò alla diminuzione delle temperature in tutto il mondo, a un calo delle precipitazioni e a una siccità che durò 10 anni; riduzione degli ambienti topografici favorevoli e decremento degli habitat sulla terra; disgregazione dei supercontinenti.

Altre catastrofi terrestri (5): improvvisi fenomeni di vulcanesimo; fluttuazione delle costanti gravitazionali; spostamento del'asse rotazionale della Terra; formazione della Luna staccatasi dall'Oceano Pacifico; avvelenamento da uranio aspirato dal terreno.

Cause extraterrestri (15): entropia; macchie solari; radiazioni cosmiche ed ultraviolette; distruzione dello strato di ozono a causa della luce solare e passaggio delle radiazioni cosmiche; radiazioni ionizzanti; radiazione elettromagnetica e raggi cosmici provocati dall'esplosione di una supernova; nube di polvere interstellare; istantaneo surriscaldamento dell'atmosfera causato dal passaggio di un meteorite; oscillazione del piano galattico; impatto di un asteroide; impatto di una cometa; pioggia di comete.

Insomma chi più ne ha più ne metta, ci sono teorie per tutti i gusti, basta scegliere.

qui termina la prima parte, nella seconda discuteremo di quale risposta dare ad ogni gruppo di teorie, separando le più plausibili dalle più ridicole...

martedì 28 marzo 2017

Le unghie del Diavolo - Gryphaea Lamarck, 1801

Capitato per caso mentre leggevo un libro sull'estinzione del Permiano...

il pezzo fa così:

"...I più facili da trovare erano gli esemplari di Gryphaea, in passato chiamati le unghie del diavolo, dal momento che sembravano le unghie callose e dure di un qualche dragone... ...si tratta di una conchiglia ricurva a forma di mezza ciambella ma con un guscio piatto che ricopre la parte superiore... viveva con la parte ricurva... semisepolta nella fanghiglia del fondale marino e con la parte piatta superiore che si poteva aprire... come il secchio della pattumiera..." [Benton - La più grande catastrofe di tutti i tempi - Newton & Compton eds]

Benton M.J. - La più grande catastrofe di tutti i tempi.
testuali parole con i puntini per gli omissis

La storia di Gryphaea Lamarck, 1801 è tanto triste quanto interessante. Rappresenta quella che viene comunemente raccontata come deriva genica. La specie ha talmente specializzato la propria conchiglia che ne ha decretato l'estinzione.

Le immagini che propongo, sebbene effettivamente potevo utilizzare uno sfondo più contrastante, possono essere esemplificative.

Gryphaea Lamarck, 1801 - Lussemburgo.

Gryphaea è una conchiglia bivalve, più o meno come una vongola o un'ostrica, più vicina ad un ostrica in effetti, e come tutti i bivalvi ha una porzione della conchiglia più ricurva, la zona umbonale, ed una più piatta, la zona commessurale.

Quando andiamo al mare e raccogliamo le conchiglie bivalvi con il buchetto, che da piccoli ci facevamo le collanine, il buchetto spesso è stato realizzato da un predatore nella porzione umbonale. Nell'umbone perché è lì che vive ritirato il mollusco che ha secreto la conchiglia.

Dell'avvincente pugna per la sopravvivenza che quel buco rappresenta potremmo parlarne in altri post, ma qui mi interessava solo indicare quale fosse l'umbone.

Probabilmente appunto per sfuggire ai predatori Gryphaea, nel Giurassico inferiore, ha cominciato a modificare la propria conchiglia ingrossando ed inspessendo l'umbone. Ingrossandosi l'umbone si è riiegato su se stesso e ha insistito su una delle due valve. Questa si è modificata a sua volta diventando praticamente un opercolo.

La strategia sembrava vincente se non fosse che con siffatto opercolo le funzioni vitali erano difficilmente esplicabili e quindi la conchiglia si trovava troppo specializzata nella difesa e vincolata ad un ambiente marino ben preciso. Questo comporta che il cambiamento ambientale potrebbe non essere recepito dall'animale che potrebbe non essere riuscito ad adattarvisi, estinguendo.

Inoltre, Gryphaea, genere a cui sono particolarmente affezionato, è protagonista di una mitologia. Quando nell'antichità, come oggi, i fossili venivano rinvenuti, spesso non si riusciva, a differenza di oggi, a dare una spiegazione sul perché della loro presenza se non ricorrendo alla mitologia. Se Gryphaea ricorda le unghie del drago o del demone, le ammoniti erano serpenti pietrificati, le belemniti fulmini pietrificati, nummuliti erano soldi, i dinosauri erano i draghi (in ben due mitologie indipendenti), gli elefantidi erano i ciclopi...

sarebbe bello parlare speditivamente di ognuna di queste interpretazioni...

venerdì 10 marzo 2017

Un viaggio matematico

Viaggi senza zaino, viaggi virtuali, viaggi che spiegano (o ci provano) il mondo.

Ho preso a lavorare a scuola. Matematica e Scienze. Oltre l'iniziale ansia da prestazione mi sto divertendo come non mai. E non me l'aspettavo. O meglio, so che lavorare con i ragazzi, con gli studenti di qualunque età, è la cosa più bella del mondo, fonte di ispirazione per speculazioni intellettuali e perché no anche scientifiche. 

Anche alcuni post di questo blog sono ispirati a discussioni in classe, o nascono da esse.

Ma mi sono accorto che tra loro e la matematica, nel senso più ampio del termine, esiste come un muro, alto ed impenetrabile, che impedisce loro di approcciare serenamente e sinceramente la materia.

Ad un esame di coscienza, il muro ce l'abbiamo tutti, ogni volta che un calcolo è troppo complicato, che rinunciamo a risolvere il problema, che riteniamo la calcolatrice l'unica soluzione. E' come un muro fisiologico, naturale, nato dal fatto che non riusciamo mai a farci piacere una materia tanto affascinante quanto delle volte terribile.

"Eh non lo so fare..."
"La matematica è difficile" 
"E' troppo complicata/noiosa/non la voglio fare"

Sono le frasi che spessissimo sento dire dagli studenti e capisco anche dai discorsi dei grandi che li circondano e li crescono. 

E allora ho sentito prepotente la necessità di provare ad abbattere questi muri, prima ancora della formula o del teorema: bagaglio e competenza essenziali per la crescita intellettuale. 

Prima di fare l'appiccicaticcio della matematica, è necessario che noi si approcci la materia senza barriere, cercando effettivamente la via per la quale la matematica, o le scienze in generali, sono state "inventate". 

E la via è quella della descrizione del mondo che ci circonda, del naturale.

E adesso racconterò di questo viaggio, fatto senza uscire dalla classe. Un viaggio nel mondo della matematica con l'unico strumento intellettuale con cui mi sento a mio agio... il mio essere geologo.

Ormai i lettori di questo blog sanno quanto la mia professione mi permei e guidi le mie azioni: faccio ma anche sono geologo, paleontologo, biostratigrafo e in base a questo guardo il mondo.

E osservo. Osservo un mondo fatto di forme, suddivisibile in forme, nelle forme che ci hanno insegnato già dalle elementari: quadrilateri, pentagoni, esagoni, poligoni di vario tipo.

Sono forme tanto facili da vedere quanto difficili da descrivere analiticamente, e in questo viaggio mi sono limitato al primo passaggio, lasciando il secondo ad ulteriori studi.

Anche la mia postura è studiata: sto per la maggior parte del tempo con le mani in tasca, e difficilmente scrivo, proprio perché la matematica che propongo in questo corso non si scrive, si guarda.

E siamo partiti.

Siamo partiti dal video di Alvàro Soler ed Emma Marrone, girato a Vulci (tra Viterbo e Grosseto).



Siamo andati un attimo a Svartifoss in Islanda a vedere la cascata e a scoprire su cosa si è impostata. I suoi basalti colonnari, e la forma esagonale con cui riempiono lo spazio.


Abbiamo volato su di una mosca, abbiamo visto come una falena, abbiamo rubato miele dall'alveare. Sempre poligoni e sempre esagoni, precisissimi, sempre a riempire il mondo.


Abbiamo calpestato neve in scioglimento, zolle erbose e superfici fangose che si asciuga, ancora una volta abbiamo visto i poligoni suddividere lo spazio. Inoltre abbiamo riconosciuto i disegni frattali (Curva di Césaro) nelle zolle di terra.


Abbiamo disegnato fiocchi di neve, giocato con le ammoniti (immancabili), abbiamo riconosciuto nuovi disegni frattali come la Curva di von Koch, caso particolare della Curva di Césaro.


Abbiamo visto il riflesso esagonale del sole rischiando la vita e scoperndo ancora una volta forme poligonali, ancora una volta poligoni a disegnare le spazio.


E quindi abbiamo provato a descrivere finalmente il caos del mondo che ci circonda, poco per volta, un pezzo ora e un pezzo poi, un discorso di descrizione che inizia ora e che non finirà mai...

Matematica del caos e geometria frattale. E abbiamo scoperto che è dappertutto... Abbiamo trovato una colata lavica di lava molto fluida, che forma le cosiddette corde, e le corde si ripetono e si accavallano. Sono corde di corde, in un susseguirsi di ripetizioni dello stesso motivo alla diversa scala.


Abbiamo descritto l'albero che si vede dalla finestra della scuola, sulla collina di fronte, a destra della casa gialla... è quello a destra nella prossima immagine, o ci assomiglia tantissimo.


E infine l'abbiamo vista... che si lascia osservare, placida e immobile... La fenice di Askja. Riflessa nelle acque placide di Oskjuvatn, nel centro esatto dell'Islanda.


E non è finita qui! Piano piano vorrò portare i ragazzi a chiedersi come descrivere il loro mondo, con i termini matematici necessari e a trovarsi a loro agio con questa attività.

Brucerò loro la poesia di un panorama, di una forma? Può essere, ma loro ne impareranno un'altra, speriamo più consapevole, più libera da barriere e muri.

mercoledì 22 febbraio 2017

Quel Giorno [24 settembre 2003]

Sono passati, da circa una settimana, il 15 febbraio 2017, i 68 anni dalla nascita di Jack Pallini. Sessantotto non è "cifra tonda" e quindi se non se ne ricorda il passaggio,  cambia il giusto. In realtà gli anniversari hanno sempre poco valore, servono ad esercitare la memoria e poco più. 

E la memoria noi dobbiamo esercitarla, non tanto per il ricordo delle persone sicuramente importanti nella nostra vita, quanto per gli insegnamenti che ci hanno lasciato e che ci hanno arricchito. Ogni volta che qualcuno che conosciamo scompare, parte per la sua parte di viaggio, a noi non resta che un pezzetto da prendere e mettere nel nostro zaino, da portare con noi per sempre.

Avrei voluto condividere, ancora quanto segue nel giorno del compleanno di Jack. come lo chiamano? Il giorno del Richiamo, anche se non mi ricordo mai se è il giorno della morte o della nascita. Tuttavia la scorsa è stata una settimana di fuoco, lavoro e viaggi; paleontologia e matematica; lezioni di vita e lezioni all'università. 

Ma non disperiamo, condivido adesso. La poesia che segue l'ho scritta in occasione del decennale della scomparsa di Jack e l'ho cogitata, con forte emozione proprio dove effettivamente mi ha sorriso quel giorno, lì a Campo al Bello, sul Monte Nerone, prima che tutto succedesse e tutto cambiasse.


Lui che diceva sempre:

"Veniamo con un pianto, 
vediamo di andarcene con un sorriso"

quel giorno, lì in montagna,
mi ha sorriso
e se ne è andato...

... se ne è andato!

Jack, il 24 settembre 2003

giovedì 16 febbraio 2017

Elogio alla Geologia

Tutte le sere, mi lavo e mi cambio, lascio i panni di tutti i giorni e mi incammino sulla via Appia. La via Regina, la consolare romana che dritta e rettilinea da Roma raggiunge Brindisi.

Ovviamente non fisicamente ma tramite l'abile penna di Paolo Rumiz il quale, indossato il suo zaino, insieme ad una squadra solidale, ha percorso a piedi tutti i 690 km di questa via.

E' un libro di cui sentirò la mancanza una volta finito e che mi ha dato l'idea per numerosi progetti...

Ad un certo punto, durante la lettura, mi sono imbattuto in un capitoletto niente male, per me che sono geologo, e che vorrei riportare per intiero per chi vorrà leggerlo. 

Certo a chi leggerà e difensore ortodosso della geologicità troverà orrori di interpretazione vorrei ricordare che chi scrive nel virgolettato non è geologo ed interpreta... ed in ogni caso... ma che problema c'è?

Il capitoletto si chiama Radiatori in Agonia.

"A Venosa finisce l'Appennino. Dopo, è solo il vento che detta la Storia. Superato un profondo vallone con un verde querceto e un torrente, si entra in uno spazio rovente, di radiatori in agonia; un tavolato ondulato e nudo, sui trecento metri di quota, dove le poche auto in transito si annunciano a chilometri di distanza come sull'altopiano del Messico o nel cuore polveroso dell'Iran. Questo semplifica enormemente l'orientamento. Ma il Caldo è tale che la temperatura in piena estate può raggiungere i quarantacinque gradi. Terra disabitata, con punti d'appoggio quasi inesistenti per chi va a piedi. Il che significa una traversata lunga, desertica e soprattutto inaffrontabile a borracce vuote.

Assieme all'orografia, anche la mappa geologica si semplifica con l'ingresso nel nuovo mondo. A ovest del cono vulcanico del Vulture, fondamentale paracarro del viaggio, la carta mostra un guazzabuglio di colori forti che denunciano l'effervescenza plutonica della spina dorsale della Penisola. Ad est, dopo un ultimo soprassalto cromatico - la chiazza ciclamino dei "complessi silicei" e le bande diagonali grigio-arancioni del "Flysch numidico della Lucania", ultimi residui dell'erosione dell'Appennino -, sulla mappa i colori impallidiscono di colpo ed inizia uno spazio di sedimenti molto meno antichi, resi graficamente da un giallo pallido di tonalità lievemente verdina, cui segue verso l'Adriatico la vasta macchia grigio topo delle Murge, il regno del calcare.

Significa che da qualche parte, sotto i sedimenti calpestati dalle nostre suole, l'osso dello stivale - in un'impressionante rotazione antioraria - è andato a sbattere contro il piastrone calcareo del Tavoliere. Come dire che l'improvvisa semplificazione cromatica della mappa ci mette di fronte nientemeno che alla deriva e alla collisione dei Continenti. Per farla breve: stiamo transitando dall'Eurasia all'Africa. La seconda ha sfondato la sua antagonista facendo breccia tra i Balcani e l'Appennino e preme a nord-ovest da tempo immemorabile. E' un ariete che migra con tutta la Puglia e l'intero Adriatico fin dentro la pianura Padana e che, a furia di spinte millimetriche ma inesorabili, ha finito per generare le Alpi. Non so bene in che punto, ma la via Regina passa sopra la linea di contatto fra queste zolle migranti.

Ma se il grigio delle Murge è Africa, le Murge rappresentano l'emersione in superficie delle sue fondamenta. Sono africa che esce dal mare come schiena di testuggine. Basamento calcareo, nudo come mamma l'ha fatto. Il resto del piastrone è coperto dal giallo verdino dei sedimenti su cui si snoda, con pochissime asperità, il nostro cammino. Gli unici veri ostacoli li trovi nei punti di contatto tra il giallo pallido e il grigio: sono i canyon - chiamati gravine - scavati dai torrenti in posti come Matera, Altamura, Castellaneta e, ovviamente, Gravina di Puglia, nei quali ha trovato casa una delle civiltà rupestri più complesse ed affascinanti del Mediterraneo.

Sulla mappa, la forza simbolica dei colori è tale che la percezione di camminare su di un fondale marino emerso è folgorante, immediata. Il giallo verdino rende perfettamente l'idea di una massa liquida che riempie tutti gli spazi liberi tra le ruvide convessità delle Murge e il femore inquieto dello Stivale; un mare di sedimenti solidificati che, su un piano dolcemente inclinato, dilaga verso il Metaponto e lo Jonio portandosi dietro secoli di tratturi, strade, fiumi, sentieri e milioni di pecore. Come la gigantesca faglia tra il Lago di Galilea e il Mar morto è percorsa dal Giordano, così anche questo reame scorticato dal vento ha per baricentro un fiume: il Bradano, che ha dato al territorio l'affascinante nome barbarico di Fossa Bradanica.

I piedi, ormai l'abbiamo imparato, sono sismografi capaci di succhiare dal suolo infinite informazioni. Forse è per questo che il camminatore sente il fascino delle mappe che raffigurano il Profondo. Carte geologiche, geodinamiche, batimetriche, litostratigrafiche, sismiche e di intensitàà magnetica: fa poca differenza. Senza paura di far inorridire gli studiosi, egli mostra di amare quelle planimetriche più per la loro bellezza cromatica che per i dati che contengono-. Ne succhia l'essenza dai colori, perché sa che quei colori sono il risultato di una sapienza di secoli. Lo scarlatto, il viola ciclamino, il verde oliva punteggiato di croci, il turchino, l'azzurro a linee diagonali nere, il giallo oro.

Nelle mappe geologiche, le didasclaie che danno senso a queste tonalità sono spesso più efficaci di un libro di avventura. Da quali abissi sono emersi i tremendi scisti silicei di Lagonegro? Come resistere al roccioso richiamo del Flysch di Oberhalbstein, allo scintillio delle rocce cristalline del Silvretta o al tuono iperuranico del nostro favoloso Complesso crotonide? Quale scarmigliata Persefone può celarsi nelle Calcareniti glauconitiche o nelle micascisti d'Aspromonte? No, nessun romanzo può rivaleggiare con la storia favolosa dei sedimenti pelagici sannitico-molisani o delle rocce plutoniche dell'ercinico. Sento che nella fornace bradanica il suolo attorno a noi si deforma, erutta, ribolle, fuma, si gonfia e si frattura, genera visioni e fate morgane. E che l'Italia è una terra senza pace."

da Appia di Paolo Rumiz di Narrativa Feltrinelli


lunedì 2 gennaio 2017

Ammoniti e Probabilità

oh finalmente è uscito...

un progetto quasi sul visionario... talmente tanto fuori dagli schemi che addirittura non siamo riusciti a trovare riferimenti bibliografici, qualcuno che abbia già affrontato un lavoro come il nostro...

nato per due chiacchiere... la ricerca di un significato su alcune strutture visibili sulle ammoniti, le loro linee di sutura, una idea che girava nella mia testa, un'idea che girava nell'idea della mia prof. di matematica, collega e amica.

Le ammoniti. Sono i fossili di molluschi cefalopodi, parenti degli attuali calamari, che vissero nei mari di tutto il mondo per 400 milioni di anni, tra il Devoniano (Paleozoico) e il Cretacico terminale (Mesozoico). Scomparvero durante la crisi cretacico-paleogenica (K/Pg) circa 65 milioni di anni fa, come i dinosauri, le rudiste, le belemniti e tanti altri gruppi tassonomici di animali e piante.

I fossili di ammoniti riportano un guscio particolare, relativamente strano, in cui le ornamentazioni esterne (coste, solchi, creste e via discorrendo) si sovrappongo a quelle interne: le linee di sutura.

Le linee di sutura. a - Pleydellia buckmani; b - Geczyceras speciosum 
Un anno intero a cercare di parlare un linguaggio comune, a trovare una lingua che ci permettesse di comunicare. Un anno.

Lei parlava il matematichese e io le rispondevo in paleontologichese... non so se avete presente, era come ne film "Il tredicesimo guerriero" dove l'eroe arabo, viaggiando con eroi vichinghi, dopo un po' impara il loro linguaggio solo a forza di provare a parlare.

E abbiamo imparato un linguaggio nuovo, un linguaggio che abbiamo provato a raccontare nel nostro articolo.

Per farlo abbiamo dovuto e voluto cambiare tutte le carte in tavola, cambiare significati, provare e riprovare strade a volte senza uscita...

La linea di sutura. Per chi ha studiato paleontologia all'università la definizione si mandava giù a memoria: "La proiezione del setto sulla parete interna del guscio". Ma se fosse anche qualcos'altro?

E se la linea di sutura fosse "il risultato, fossilizzato nel tempo, di un calcolo di probabilità"?
E se l'ammonite avesse realizzato la sua capacità di adattamento al suo ambiente disegnando la propria di linea di sutura?

era questo il quesito ed era ispirato al disegno arzigogolato che avevamo davanti.

Poi ogni gruppo aveva il suo disegno. E ogni gruppo viveva in un mondo proprio. Chi sapeva nuotare bene era adattato al movimento orizzontale, ad una data profondità, fatta di mari aperti e lunghe distanze. E così trovava il cibo, scappava dai predatori, socializzava e si accoppiava. E la sua linea suturale era semplice.

Pleydellia Buckmani Maubeuge, 1947. a, b - l'olotipo della specie, l'esemplare su cui la specie è stata istituita; c - la linea di sutura; d - la linea frattale di von Koch. Notare la perfetta sovrapponibilità dei due disegni.


Chi invece non sapeva nuotare velocemente aveva un guscio con caratteristiche adattate alla vita sedimentaria, nascondendosi negli anfratti, muovendosi nel buio delle profondità per la difesa e per il riposo, tornando poi in superficie per le attività sociali e per la nutrizione. Probabilmente era il raschiatore, o il superpredatore che mangiava sul fondo o i resti di altri animali. Poteva anche essere erbivoro. E la sua linea di sutura era molto complicata.

Geczyceras speciosum (Janensch, 1902). a, l'esemplare in studio; b - la linea di sutura; c - la linea frattale di Césaro. Notare la perfetta sovrapponibilità dei due disegni.


E via discorrendo...

e così abbiamo provato a creare scenari: pressione costante, strettamente decrescente, irregolare.

Scenari ipotizzati. 1 - pressione costante; 2 - pressione strettamente decrescenti, sviluppate in due sotto casi a e b; 3 - pressione irregolare.
Abbiamo anche confrontato le linee con geometrie frattali note trovando delle perfette corrispondenze...

Sono veramente soddisfatto dei risultati, sebbene sia solo il primo passo. adesso è necessario ampliare lo studio ad altre linee di sutura, cambiare ambienti ed età... e magari chessò un giorno associare un valore alle pressioni e quindi un valore di profondità a data linea di sutura...

la citazione è:

Di Cencio A. & Doria S. (2017) - Probabilistic Analysis of suture lines developed in ammonites: the jurassic example of Hildocerataceae and Hammatocerataceae. Mathematical Geosciences.

un paio di link: Researchgate e Mathematical Geosciences